L’odio in Europa
Bisogna spulciare tra le notizie dei giornali di ieri l’altro – media israeliani, soprattutto – per sapere qualcosa di più sull’accoltellamento avvenuto a Helsingborg, in Svezia, nei confronti di una donna ebrea di sessant’anni. La polizia svedese l’ha definito per il momento un “incidente isolato” e ha aggiunto che non ci sarebbero indicazioni per parlare di un “crimine d’odio” – eufemismo corrente per non esplicitare un attacco antisemita o razzista. Poco o nulla si sa dell’identità dell’assalitore, il Ministero degli Esteri israeliano riferisce che si tratterebbe di un musulmano, ma senza conferme dalla Svezia.
Le notizie si commentano sempre in presenza di informazioni chiare, cercando di controllare la propria emotività da tastiera, in questo caso però le informazioni sono vaghe o quasi inesistenti. Forse la notizia non interessa granché, oppure ormai bisogna abituarsi ai “crimini d’odio”, da leggerli di sfuggita come previsioni meteorologiche.
L’odio nell’Europa dei nostri giorni non colpisce soltanto gli ebrei, colpisce individui di qualsiasi nazionalità o religione, ma quando avvengono crimini di questo tipo sembra che si tratti di un problema riguardante soltanto il gruppo colpito. L’antisemitismo sarà percepito dunque come un problema soprattutto degli ebrei, qualcosa che non interessa il resto della società. Se gli autori sono musulmani può diventare un facile pretesto per gli xenofobi per attaccare tutti i musulmani, se gli autori invece sono neofascisti gli altri si zittiscono ed è la sinistra a ridestarsi un po’.
A me piacerebbe che siano in ogni occasione soprattutto gli altri a contrastare e a preoccuparsi della violenza contro uno specifico gruppo, ancor più dei diretti interessati. È davvero così un’utopia?
Francesco Moises Bassano
(17 maggio 2019)