Festa del Libro ebraico di Ferrara
David Grossman: “La parola
aiuta a decodificare il mondo”

Scrivere per decodificare il mondo, per scoprire le diverse identità che lo popolano e per scoprire se stessi. Sul palco del Teatro Comunale di Ferrara lo scrittore israeliano David Grossman racconta del suo rapporto con la parola e con i personaggi a cui dà vita. E invita il pubblico della Festa del Libro ebraico a giocare con la propria identità. “Ciascuno di noi può essere altro. Nel volto di qualunque uomo puoi vedere la donna che potrebbe essere o vedere il bambino che è stato o il vecchio che sarà. È il gioco delle identità che vi invito a fare. Essere scrittore mi ha insegnato a scoprire continuamente nuove identità”, ha spiegato Grossman, dialogando con il direttore del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah Simonetta Della Seta. Un confronto arrivato a conclusione di un’intensa giornata con il libro ebraico assoluto protagonista, grazie alla decima edizione della rassegna organizzata dal Meis. Un’iniziativa che racconta l’impegno del Museo ad essere, nelle parole del suo presidente Dario Disegni, “grande polo culturale, di riflessione, dibattito e ricerca sui temi che riguardano l’ebraismo e l’ebraismo nella società contemporanea”. E di radici ebraiche ha parlato Grossman nel suo dialogo con Della Seta, sottolineando di essere ateo ma al contempo di aver uno stretto legame con i testi dell’ebraismo. “Ho studiato al Beit Midrash Elul, una realtà laica, perché non voglio privarmi della mia cultura. Il metodo della Chevruta, dello studio a coppie del Talmud, ti permette di avere delle lenti di ingrandimento per interpretare parola per parola il testo. Per decodificarlo. Ed è un approccio che penso l’ebraismo abbia adottato anche per la realtà: l’ha guardata come se fosse un testo e ha lavorato per decodificarla”. Per Grossman la catena che forma gli anelli della storia ebraica è rappresentata da questa capacità di usare la parola, di studiare, di esserne esperti. L’autore israeliano rimarca dunque la centralità dell’ebraismo nel suo lavoro ma allo stesso tempo sottolinea come, in qualità di scrittore, sia costantemente impegnato nell’aprirsi ad altre identità, a darvi voce. Anche perché “penso sempre al fatto che se fossi nato pochi chilometri più a nord, forse sarei stato palestinese”. Ovvero la casualità gioca una parte importante nel definire chi siamo. Un altro elemento, che racconta di noi, è l’aspetto. “Quando creo un personaggio, – ha spiegato Grossman – penso a com’è, come si muove, che capelli ha, ho bisogno di capire e immaginare la sua fisicità”. Per farlo, è fondamentale guardarsi attorno, attingere dalla realtà. “Sono come un cacciatore che cerca di rubare l’aspetto a qualcuno”. Così ad esempio è nata Tamar, giovane dura e allo stesso tempo tenera di Qualcuno con cui correre. “Per mesi ho cercato un volto che potesse raccontarla. Non riuscivo a proseguire perché non avevo una sua immagine chiara. Poi, entrando in un negozio di un centro commerciale l’ho vista: era una ragazza sui 16 anni, con i pantaloni blu, lisi. Del volto, ho visto solo la guancia e la mascella. Aveva un aspetto tenero e duro allo stesso tempo. E li ho capito che era la mia Tamar. Sono scappato via prima di sentire la sua voce, di quella non avevo bisogno”. “Il viso di una persona – ha inoltre lo scrittore – è come un libro, ci puoi leggere la sua storia”.

Daniel Reichel