Il problema irrisolvibile
Su Hakeillah del 28 Marzo scorso Anna Segre intervista Guido Vitale, direttore della Comunicazione e delle testate giornalistiche dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, a proposito delle frequenti critiche a Pagine ebraiche e Moked.
Vitale spiega che, attraverso l’informazione, passano tematiche di tipo identitario irrisolte nell’ebraismo italiano, tematiche che il rabbinato italiano non sempre si è dimostrato in grado di risolvere. Così apprendo o, se si vuole, realizzo in maniera più approfondita, che vi sarebbero questioni identitarie che riguardano le diverse correnti dell’ebraismo. Non essendo abbastanza addentro, come accennavo, mi domanderei quale sia la percentuale di continuità ebraica nelle famiglie di riformisti e in quelle di ortodossi. Mi domanderei, pure, perché non vi siano i conservative oppure perché non siano menzionati, così come mi domanderei se l’ortodossia rabbinica non continui ad avere come platea degli ebrei talvolta definiti come blandamente ortodossi. Perché, se si andassero a scomodare temi assai prosaici, forse si appurerebbe che nell’ebraismo italiano l’ortodossia è spesso blanda, quale possibile espressione di una particolarità latina. Non trascurerei il fatto che: a) queste problematiche discendono dall’impostazione delle Intese, che furono sottoscritte da Tullia Zevi, b) la struttura dell’Ucei è basata su un “parlamentino”, per ricorrere alle sagge parole di Renzo Gattegna. Due personaggi accomunati nel segno del progresso, nell’accezione da molti accolta. Personalmente, ho proposto qualche riforma, come Consigliere UCEI, ma non avendo avuto mai risposta, posso dedurre di aver proposto qualche cosa di sbagliato. Tuttavia, poiché la realtà è più forte delle norme, segnatamente quando le ultime non corrispondo appieno alla prima, vi sono delle entità che, pur non avendo le prerogative giuridiche di una Comunità, finiscono del tutto inconsapevolmente per esserlo. Lascio al lettore e alla sua arguzia l’identificazione di siffatte realtà. Tutto ciò per evidenziare che il contesto è più complesso di quanto appaia ad alcuni, i quali in buona fede vedono taluni aspetti mentre altri finiscono per essere sfumati, se non addirittura elisi.
Indi, Anna Segre asserisce che, per taluni, i redattori e collaboratori di Pagine ebraiche sarebbero troppo progressisti; intuisco di non essere coinvolto nel riferimento perché, pur privo di clava e perizoma (di cui provvederò tempestivamente a munirmi), per il resto la nozione di progressista la troverei non solo anfibologica, ma anche storicistica e, fra HaKeillah e Karl Popper, sto con Popper.
Infine, Guido Vitale, si sbilancia: “Se posso esprimere un desiderio, vorrei incontrare ebrei italiani di buonumore, orgogliosi della propria identità, convinti che di vivere appieno la nostra identità valga davvero la pena”. L’auspicio è sacrosanto, anche se è difficile che si tramuti in realtà, perché siamo bellicosi e, anche quando studiamo, non lo facciamo sempre per addivenire alla verità ma per trovare una conferma ai nostri pregiudizi. In questo senso, troppe volte il causidico prevale sullo studioso. Sarà pure un paradosso, però è alquanto palese che molti ebrei, pur non appartenendo ad una religione dogmatica, siano assai dogmatici sul piano politico. La morale? Bene ha fatto Guido Vitale a sollevare coraggiosamente il problema, il quale però ha il fascino delle questioni irrisolvibili. Quando ho trattato con lui l’ho trovato disponibile, capace ed empatico ma sembra che queste tre patologie non siano contagiose. Continueremo noi tutti, quindi, simpaticamente a non capirci e io continuerò a vegliare agli interessi dell’ebraismo oppure, se vi piace, a quelli che nella mia ingenuità considero che siano gli interessi dell’ebraismo italiano.
Emanuele Calò, giurista
(21 maggio 2019)