Firenze – “Io, una Jane Austen ebrea”

C’è chi l’ha chiamato “il Philip Roth inglese”. Ma lui si trova più a suo agio nei panni di “Jane Austen ebrea”. Una definizione che, a suo dire, rispecchierebbe non solo la sua ebraicità ma anche la sua profonda appartenenza al Paese in cui è nato e in cui vive. “Sono – dice – prima di tutto uno scrittore inglese”.
Secondo appuntamento del Balabrunch con l’autore a Firenze con Howard Jacobson, scrittore ed editorialista del quotidiano The Independent, autore tra gli altri dei fortunatissimi L’enigma di Finkler, G e Il mio nome è Shylock. Opere che si sono imposte sulla scena editoriale con il loro carico di ironia e sarcasmo, riscuotendo un successo globale. A confrontarsi con Jacobson l’assessore alla cultura della Comunità ebraica di Firenze Laura Forti e Shaul Bassi, professore associato di letteratura inglese all’Università Ca’ Foscari di Venezia.
“Chiedo scusa per la Brexit, ma non è colpa mia” esordisce tra le risate Jacobson, che domani sarà anche a Pisa per un incontro realizzato in collaborazione con Rete Toscana ebraica, Comunità ebraica, Università e CISE. Un dialogo, quello con Forti e Bassi, che lo porta a confrontarsi con i temi dei suoi scritti, con il segno dell’identità, con la proiezione della stessa sulle pagine di un libro. “Ho passato la mia gioventù a dissimulare la mia identità ebraica, a tenermene alla larga il più possibile. Poi mi son reso conto che non riuscivo ad andare avanti, che la pagina restava bianca. Per iniziare a scrivere – racconta Jacobson – ho dovuto per forza occuparmi di ebrei”.

(26 maggio 2019)