Dove è finita la verità?
Tra le molte certezze che il nuovo Millennio ha spazzato via, c’è quella che esista una Verità oggettiva e assoluta. Certo, ci sono realtà fattuali: se ho un incidente e rompo l’automobile, difficile negare che l’automobile sia rotta. Ma come e perché l’incidente sia avvenuto può essere analizzato e dibattuto da molti punti di vista.
Le ricerche sul cervello hanno dimostrato in modo incontrovertibile che noi vediamo, sentiamo e registriamo nella memoria in modo impreciso e altamente personalizzato -e questo è per un fatto di economia: se dovessimo vedere, sentire, registrare tutti i minimi dettagli, il numero di informazioni sarebbe talmente alto da renderne lentissima l’elaborazione – già il cervello è lento secondo gli standard dei computer. Per esempio, se guardiamo un volto, il nostro apparato visivo è fatto per tener conto solo dei punti focali, che poi completiamo secondo la nostra esperienza e memoria. Il processo è simile al gioco di congiungere un gruppo di punti per ricavarne una figura. Un paragone intuitivo è quello con i pixel di una fotografia. Più alta è la definizione, più lento il caricamento (almeno finché non disporremo di altre tecnologie, come i computer quantistici) più pesante la trasmissione via Internet. Tant’è vero che nelle comunicazioni normali preferiamo ridurre la definizione per guadagnare in agilità. Proprio questo fa il nostro cervello. Non solo. L’immagine sarà poi memorizzata secondo parametri che hanno a che fare anche con le emozioni del momento, i nostri preconcetti e ciò che sappiamo o crediamo di sapere (i cosiddetti bias cognitivi). E a volte anche con illusioni visive o sonore.
Quando poi rievochiamo un ricordo lo distorciamo ulteriormente senza avvedercene, e questa ulteriore variazione si registra e altera per sempre la nostra memoria. I ricordi insomma sono stratificazioni mutevoli di eventi che abbiamo registrato in modo impreciso. La Verità non esiste, se non per chi ha la Fede, per i fondamentalisti e per qualche dittatore che la vuole imporre (anche se magari è i primo a non crederci e a non rispettarla).
Certo, esiste una verità fattuale. Se vedi una persona che spara e un’altra che si accascia, è un fatto oggettivo. E si può supporre con un buon grado di approssimazione che siamo di fronte a un delitto a un morto. Ma nemmeno questo è sicuro. Potrebbe essere un film, o la pistola caricata a salve, o forse che spara è un eroe che elimina un criminale pericoloso.
Ma anche di fronte a un fatto assodato, cambia la verità interiore, ovvero come registriamo, ricordiamo, e interpretiamo l’evento. E infatti le ricerche hanno riscontrato che interrogando testimoni oculari dello stesso fatto, difficilmente le versioni coincidono. Eppure ognuno è ben sicuro di ciò che crede di aver visto. La cose diventano ancora più confuse oggi con la realtà virtuale nella quale spesso siamo immersi anche senza rendercene conto. Crediamo all’esistenza di quello che vediamo in Tv o su Internet, ma fin a che punto possiamo verificare che sia reale?
Possiamo attribuire un contenuto di verità ai fenomeni naturali, se c’è il sole e il cielo è azzurro possiamo ragionevolmente sostenere che il tempo è buono, ma per alcuni può fare troppo caldo e per altri non abbastanza, e il mio ricordo di una bella giornata può non essere condiviso. Possiamo concordare che in cielo c’è la luna piena, ma per me è un satellite, per popolazioni primitive può essere una Dea e l’astronauta che ci sta volando sopra ne avrà una immagine molto diversa.
Perfino il tempo, che crediamo sia un valore assoluto, in realtà è diverso per ognuno di noi (e per i fisici quantistici non esiste del tutto: consiglio il bel libro di Carlo Rovellli: Il tempo non esiste). Einstein ha spiegato in modo convincente che il trascorrere del tempo varia a secondo dell’altezza e la posizione dell’osservatore, e due gemelli monozigoti invecchiano in modo diverso se uno sta a valle e l’altro in cima a una montagna. Teoricamente non si può escludere di poter addirittura tornare indietro nel tempo, contravvenendo alla più assoluta delle verità in cui siamo stati educati a credere.
Persino la certezza dello spazio fisico non ci sostiene più. Credevamo che fosse una bella scatola (finita o infinita) in cui allineare più o meno ordinatamente le proprie cose? Nossignori: il tempo è come un marshmallow, può essere tirato da tutte le parti, è morbido e malleabile e forse non esiste neanche lui, viviamo in una dimensione spazio/tempo che non sappiamo bene che cos’è. Così non esistono i colori, sono solo rifrazioni della luce e le onde sonore sono molto più ricche di quelle che persino un orecchio assoluto riesce a percepire. Possiamo solo credere in alcune convenzioni, che ci permettono di comunicare e sopravvivere, ma non hanno alcuna base di verità intrinseca, come il centimetro e il metro e il sistema decimale, che però non tutti i popoli accettano. C’è chi misura in pollici e chi conta su base dodici.
La matematica è una delle verità che ben pochi contestano: due più due fa sempre quattro, si dice. Ne siamo sicuri? Il premio Nobel Daniel Kahneman, ha dimostrato che nemmeno discipline ritenute razionali come l’economia sono obiettive e immuni da distorsioni emotive, e persino il nostro giudizio su un fatto matematico dipende da come ci è presentato. Esempio tipico: se a un esercito in fuga propongo di guadare un fiume dicendo il 40% dei soldati si salverà, quasi tutti accetteranno, se dico che il 60% morirà, quasi tutti si rifiuteranno (ovviamente semplifico).
In questo mondo dai confini incerti, noi ebrei siamo ben equipaggiati a sopravvivere –non per nulla da Freud a Einstein a Kahneman, i pensatori che più hanno distrutto le certezze assolute, sono di religione ebraica. A differenza dei testi sacri di altre religioni, che non possono essere interpretati e dibattuti, l’arte talmudica invita a mettere in dubbio ogni affermazione: e, come mi ha insegnato il Maestro Haim Baharier, ogni conclusione non è una verità, ma solo il punto di partenza per un ulteriore confronto.
Viviana Kasam
(28 maggio 2019)