Periscopio – Patres/patria
Abbiamo letto, leggiamo e leggeremo, naturalmente, anche sulle colonne di questa testata, tanti commenti sugli esiti delle elezioni europee, che prestano il fianco a una molteplicità di giudizi e valutazioni. Accantonando, o rinviando, la mia personale interpretazione, vorrei invece cogliere l’occasione per formulare qualche considerazione che mi è stata sollecitata dalle interessanti relazioni che ho ascoltato in occasione di un intenso incontro seminariale (che ho avuto l’onore di organizzare personalmente insieme alla carissima amica e Collega Mariavaleria del Tufo, presso il Centro Studi sui Fondamenti del diritto antico dell’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, presieduto dal grande Francesco Paolo Casavola), svoltosi lo scorso mercoledì 22 maggio (quindi appena quattro giorni prima della consultazione), dedicato all’intrigante tema: “Patres/patria. Religione, violenza e diritto tra famiglia, città e stato”.
Nell’ovvia impossibilità di dare conto dei contenuti dei vari interventi (svolti da Maestri di fama internazionale come da giovani studiosi di comprovato valore), che hanno toccato svariati aspetti di molte delle civiltà dell’antico mondo euroasiatico (hittita, sumerica, greca, romana, ebraica, bizantina…), vorrei svolgere una piccola osservazione su una domanda di fondo – direttamente collegata al tema del convegno – che è andata emergendo dal dibattito, e che ha attraversato, in vario modo, pressoché tutti gli interventi, ossia quella dell’intimo significato, del senso profondo dell’appartenenza degli uomini – tanto nel mondo antico, quanto in quello contemporaneo – a un dato raggruppamento parentale, sociale, politico o ideologico (famiglia, tribù, gens, clan, villaggio, città, popolo, nazione, stato, impero, religione…). Qual è il significato di tale appartenenza, in che misura l’individuo viene segnato e forgiato dal gruppo a cui è assegnato, in che modo perde la sua autonomia e singolarità, per diventare il tassello di un più ampio sistema? E fino a che punto questo passaggio dal singolare a plurale è un percorso inevitabile, obbligato, che margine di libertà e autodeterminazione resta al singolo uomo in questo fatale percorso di inquadramento e incasellamento, inesorabilmente fondato su una logica di distinzione e contrapposizione, se non di rivalità, scontro, violenza?
Nel momento in cui tanto si parla di sovranismo, patriottismo, populismo, uno sguardo al mondo antico, riguardo alla genesi e all’evoluzione di tali concetti, o dei loro progenitori (sovranità, patria, popolo) può essere molto illuminante. I meccanismi dell’antichità, ovviamente, sono molto lontani da quelli del giorno d’oggi. Ma, a volte, sembrano anche straordinariamente vicini. Oggi, più di ieri. Per lunghi millenni, le dinamiche dell’appartenenza umana a un determinato gruppo si sono basate essenzialmente su alcuni semplici elementi aggreganti: il sangue (sei mio figlio, quindi mi appartieni, come io sono appartenuto a mio padre), la terra (qui sei nato, di questa terra fai parte), la lingua (sei membro della comunità con cui puoi comunicare), la religione (gli dei tuoi padri sono anche i tuoi, comandano anche su di te).
È stato merito della civiltà romana sapere elaborare un concetto ampio, aperto e inclusivo di cittadinanza, basato su un pluralismo etnico, linguistico e religioso, e sull’idea di una comune appartenenza universale al genere umano. Tutti gli abitanti del pianeta erano chiamati a divenire cittadini romani, senza rinunciare a nulla delle loro radici, usanze, divinità, lingue. Essere cittadini di Roma voleva dire essere cittadini del mondo. Poi, com’è noto, questa utopia è naufragata, probabilmente per sempre. La nascita dei moderni stati-nazione, nata dallo sgretolamento dell’Ancien Régime, si è fondata su valenze identitarie diverse, spesso contrapposte. Di nuovo, il sangue, la terra, la lingua, la religione hanno ripreso a fungere da fonte legittimante del potere, da sorgente di sovranità, da spartiacque e muro divisorio (dove stai? dove sei nato? di qua o di là?). Sappiamo come è andata a finire. Dopo l’immane catastrofe, sulle ceneri di un’Europa distrutta, alcuni idealisti hanno provato a delineare una nuova concezione di appartenenza, fondata sui valori delle nascenti – o rinascenti – democrazie costituzionali. Una casa comune aerea, valoriale, fatta solo di principi, parole, pensieri, ideali condivisi. Un’idea di patria, di popolo, di sovranità, fondata su nient’altro che le idee di libertà, uguaglianza, solidarietà, dignità, che va coltivata e difesa con tenacia, soprattutto quando – come oggi – pare decisamente passata di moda.
Francesco Lucrezi, storico