L’Olivo
L’olio per ungere il Sacerdote e consacrarlo alla sua somma funzione doveva essere olio di oliva, cosi come doveva essere l’olio per il Candelabro. Anche se non tutte le volte che lo nomina viene aggiunta la qualifica “di olivo”, data la frequenza con la quale viene nominato sembra proprio che l’olio provenga sempre e soltanto da quest’albero.
La zona di origine dell’Olivo (Olea europaea L.) si ritiene sia quella sud caucasica (12.000 a. E.V.) anche se frequentemente è considerata una pianta prettamente mediterranea. Qui, infatti, si è ambientata molto bene soprattutto nella fascia occupata dagli agrumi: in questa area sono compresi paesi come l’Italia centro-meridionale, il sud della Spagna e della Francia, la Grecia e alcuni Paesi mediorientali che si affacciano sul Mediterraneo orientale. L’olivo coltivato appartiene alla vasta famiglia delle oleaceae che comprende ben 30 generi (fra i quali ricordiamo il Ligustro, il Lillà e il Frassino); la specie è suddivisa in due sottospecie, l’olivo coltivato (Olea europaea sativa) e l’oleastro (Olea europaea oleaster). L’olivo è una pianta assai longeva che può facilmente raggiungere alcune centinaia d’anni: (ma in qualche caso si ritiene che possa superare il millennio) questa sua caratteristica è da imputarsi soprattutto alla capacità di rigenerazione delle parti che siano eventualmente danneggiate. Caratteristica tipica dell’olivo (e non frequente tra le altre specie) è quella di essere sempreverde, cioè vegeta pressoché tutto l’anno, soltanto con un leggero calo d’intensità nel periodo invernale.
Il colore argenteo della pagina inferiore delle foglie, conferisce a questo albero un aspetto quasi fiabesco che caratterizza i versanti delle colline sui quali crescono questi alberi. La capacità rigenerativa sopra accennata contribuisce a conferire ai tronchi e ai rami un aspetto contorto creando forme strane che colpiscono la fantasia degli osservatori.
Ma la cosa più sorprendente è il prodotto di questo albero: le drupe, (cioè le olive) a maturità raggiungono un intenso colore tra il violetto ed il nero: peccato che così come si presentano siano immangiabili. Ma da tempo immemorabile l’Uomo ha imparato ad utilizzarle, da un lato estraendo un componente prezioso, l’olio, e dall’altro escogitando trattamenti che rendono le olive tal quali, commestibili. Non risulta però, dal Tanach, che le olive venissero consumate intere: sono sempre state considerate per l’olio che si poteva ottenere mediante la spremitura.
L’aspetto interessante, che si trova nel Midrash, è il paragone tra l’albero di olivo e il Popolo d’Israele. Soltanto dopo che le olive raggrinziscono (al colmo della maturità) vengono battute, raccolte e spremute dando così il meglio di sé, così il popolo di Israele, circondato dai nemici, si pentirà dei suoi peccati e tornerà al Signore. E ancora, prosegue il Midrash, come l’olio non si mescola ad altri liquidi, così Israele, non si mescola con altri popoli, come l’olio verrà a galla, e, bruciando, darà una luce forte e continua. E l’olio d’oliva è sinonimo di benessere: mentre Giacobbe nella benedizione di Asher (Alta Galilea e costa settentrionale) afferma che il “suo pane sarà grasso” ma la traduzione dall’ebraico rende male il significato, perché il termine originale “shamen” è legato a “shemen”, cioè l’olio. Quindi la giusta traduzione più che “grasso” sarebbe “oleoso”, traduzione pessima, ma più aderente al concetto originale. Mosé, invece, nell’analoga benedizione che troviamo nella parashà finale di Vezot ha Berachà, afferma che Asher intingerà il suo pane nell’olio. Nessun dubbio quindi sull’abbondanza e la produttività degli olivi che ancora oggi troviamo abbondanti, rigogliosi e produttivi nel Nord d’Israele e nel confinante Libano.
Famosa è la località di Gush Halav patria di Johanan divenuto ricco con l’olio prodotto dai suoi terreni, ma famoso, perché, a differenza di Giuseppe Flavio non parteggiò per i Romani e divenne animatore di una ribellione all’invasore di Roma. A Gush Halav organizzò un gruppo di resistenza ai Romani. Ma sconfitto in Galilea riparò a Gerusalemme dove partecipò alla resistenza contro l’invasore. Purtroppo qui la sconfitta divenne, come ben sappiamo, definitiva e Johanan fu trascinato schiavo a Roma nella processione trionfale di Tito.
Infine in tempi talmudici, nel trattato Avodà Zarà, a proposito delle olive si fa per la prima volta riferimento ad un trattamento che sembra renderle commestibili direttamente, per cui, lodando la versatilità del frutto si dice che l’olivo produce olive da mangiare, olive per produrre olio (alimentare) ed il miglior olio per illuminazione.
Ma la metafora più poetica sull’olivo la troviamo nel salmo 128 nel quale per spiegare che un uomo che teme il Signore sarà compensato negli affetti familiari è scritto: “Tua moglie sarà come una vite fruttifera all’interno della tua casa e i tuoi figli come i virgulti di olivo, intorno al tuo tavolo”, alludendo ai germogli che garantiscono la sopravvivenza millenaria dell’albero di olivo.
Un albero bello, utile e prezioso per l’uomo: un vero dono del Signore.
Roberto Jona, agronomo