La lingua dell’ebraismo
Ancora qualche osservazione sulla lingua. Mi soffermavo martedì scorso sulla povertà linguistica del populismo, veicolata spesso dalla faciloneria pressappochistica legata all’uso inappropriato dei social media. Dietro l’approssimazione generica di quel linguaggio si cela una effettiva carenza di contenuti socio-politici, una rigidità di modello inadeguata alla molteplice realtà umana e conforme invece allo stereotipo fasullo di società che il populismo ci suggerisce.
L’ebraismo propone invece una visione umana e sociale tutta affatto diversa e straordinariamente più varia; la sua lingua riflette questa molteplicità mostrandosi ben più ricca e flessibile.
La metafora dà vita e anima al midrash, in una ricerca creativa di immagini e in un gioco continuamente rinnovato di interpretazione: il senso della vita umana, del comportamento individuale e collettivo diviene qui una domanda, una sfida; l’atteggiamento e la risposta non sono scontati, prevedibili; implicano invece una significato spesso simbolico, che è indice di un giudizio e di una valore etico, pregno a sua volta di spessore educativo.
Il pilpul serrato e talvolta tranchant della Mishnà e del Talmud è segno della ricerca continua alimentata dalla collaborazione nello studio e sostanziata dalla discussione su grandi idee come su piccolissimi particolari: a emergere è la dimensione dell’approfondimento, della definizione precisa, della ricerca delle regole indispensabili per il singolo e per la comunità.
Lo studio dei significati e delle etimologie a partire dal testo biblico è elemento proprio della lingua di Rashì, guida essenziale e primaria alla ricerca del senso letterale e poi di quello ad esso interno e sotteso. La chiarezza dell’enunciato e l’universalità del modello esplicativo individuano qui la cifra del rigore espressivo.
La pacata, conseguente analisi filosofica di Rambam, del Maharal, di Shimshon Raphael Hirsch, di Joseph Dov Soloveitchik, di tanti altri grandi Rabbanim che hanno attraversato la nostra storia alimenta una tensione lucida e ininterrotta verso la razionalizzazione dell’esistenza in nome dei principi dell’ebraismo.
Ma anche uscendo dal solco della Tradizione, la parola ebraica rischiara la vita con significati rivelatori. Cosa c’è di più illuminante e corrosivo della folgorante battuta dell’umorismo yiddish? E quali autori hanno la forza evocativa e la capacità introspettiva dei grandi scrittori israeliani d’oggi?
Nelle loro pagine troviamo la verità della ricerca, della contraddizione, del tormento; questo li rende così autentici.
Quali sono dunque i denominatori comuni di tante espressioni vitali e diverse della lingua dell’ebraismo nel corso del tempo? Semplicemente quattro elementi: la vita, l’uomo, il mondo, Dio; quattro aspetti stabilmente presenti nella prospettiva ebraica, quattro confronti sempre attivi e reali nella sua dimensione. La visione ebraica è insomma sempre viva e pulsante di realtà, non falsa e totalizzante come quella del populismo. Forse anche per questo la sua lingua è così varia, pregnante, flessibile e ricca di sfumature.
David Sorani
(11 luglio 2019)