Machshevet Israel
Il dovere negato

cncCamminando per le vie di Tel Aviv capita di essere intercettati, di colpo, da qualcuno in jeans e camicia che ha bisogno di te (proprio di te!) per fare minian. Certo capita anche, in altre occasioni, di sentirsi interpellati per indossare i tefillin, ma la cosa avviene meno all’improvviso, perché vi è già un banchetto predisposto alla necessità, e le persone che si apprestano a volerti far uscire d’obbligo sono, in particolare a Tel Aviv, immediatamente riconoscibili come appartenenti a un determinato gruppo. Con loro, dunque, nessuna sorpresa: sono lì per quello – in un certo senso sono lì per te (per quanto in questo essere per te sono anche per loro stessi, adempiendo al loro dovere di permettere a qualcun altro di essere uscito d’obbligo – yaza yede hova). Dove, invece, chi sbuca dallo stabile, che sia bet haknesset permanente o meno, lo fa perché ha bisogno di te, che tu vada verso di lui, presso di lui. Ha bisogno della tua intera presenza fisica per uscire d’obbligo. Il fenomeno ovviamente si presenta in qualsiasi luogo ove si ponga il problema del minian, e l’aspetto fisico, concreto, che io esperisco a Tel Aviv qualcun altro lo potrà esperire in quartieri a maggioranza ebraica in altre parti nel mondo. Come che sia, qualcuno ti viene incontro, interrompe il tuo affaccendarti, frivolo o meno che sia, e ti pone la richiesta di entrare lasciandoti, naturalmente (!) libertà di risposta. Tuttavia nella domanda non puoi non sentire evocare il dovere: è, o quantomeno sarebbe, tuo dovere prendere parte – per far uscire te medesimo dall’obbligo e, al tempo stesso, per fare uscire gli altri d’obbligo. Vi è libertà d’azione, ma non sei libero di ignorare che quel dovere ricade su di te. Dunque rispondo che sono di fretta – sarà poi vero? Comunque rileva che vi sono altri doveri, quelli legati alle vicende quotidiane (dobbiamo pur pensare a noi stessi, ad affermare il nostro essere… ordinaria espressione del conatus essendi), che ti chiamano da altre parti – e giro l’angolo. Intanto mi è stato ricordato non soltanto che vi era un dovere (equivalente a quello di indossare i tefillin) ma anche che vi era un dovere verso l’espletamento del dovere degli altri. Doppiamente mancante, nella mia libertà. Pure, come scrive il filosofo del diritto Paolo Di Lucia (2003) anche colui che, volontariamente, non adempie all’azione richiesta da un enunciato prescrittivo di un dato ordine giuridico, proprio nel non adempiervi conferma l’efficacia (la presa sul reale e sulla nostra coscienza) di tale norma. Nulla che possa tranquillizzare chi, di par suo legittimamente, esorta a un grado minimo di osservanza. Pure, sul piano filosofico, e con immediato rilievo nella vita concreta del singolo, sta a significare che per poter negare l’adempimento dell’obbligo (per potermi negare alla richiesta) devo quantomeno conoscere l’esistenza di quell’obbligo, e prendere le misure delle mia azioni di conseguenza. Si nega ciò che esiste, e ci si nega a ciò cui ci si sente appellati, altrimenti – semplicemente – non si avrebbero orecchie (metaforicamente intese) per sentire.

Cosimo Nicolini Coen

(13 giugno 2019)