Senza Storia non c’è formazione
Domani, con la prova scritta di Italiano, inizia l’esame di maturità 2019. Molte critiche accompagnano proprio lo svolgimento della prima prova, per la cancellazione tra le tracce proposte del cosiddetto “tema storico”. Certo, anche a prescindere dallo scarso numero di opzioni che questa tipologia ha sempre fatto registrare si tratta di un fatto grave e significativo. Grave perché si traduce nell’annullamento di fatto di una possibilità di scelta rilevante da parte dei candidati: con quale diritto il MIUR toglie agli studenti, proprio in occasione di una tappa fondamentale del loro percorso di studi, il diritto di riflettere e argomentare in un ambito centrale come quello storico? Significativo perché è indice palese della scarsa o nulla sensibilità dell’attuale classe dirigente nei confronti della dimensione storica, che non è evidentemente considerata un elemento qualificante del percorso formativo.
E tuttavia il problema centrale non è, a mio giudizio, quello dell’abrogazione del “tema storico”, che rappresenta per così dire solo la punta dell’iceberg di un più vasto rischio di allontanamento dalla Storia che coinvolge la scuola italiana. La questione di fondo è lo scarso peso che l’insegnamento della Storia e la prospettiva storica in genere hanno nell’attuale sistema di formazione. Oggi la Storia fa in genere da contorno, anzi da sottofondo nozionistico, al più da vaga rete connettiva rispetto ad altri saperi posti al centro, i settori specifici, le cosiddette “discipline di indirizzo”: così il Latino e il Greco per il Liceo classico, la Matematica e la Fisica per il Liceo scientifico, le Lingue straniere per il Liceo linguistico, e via discorrendo per ogni itinerario specialistico. È comprensibile e naturale che in ciascun percorso si approfondiscano particolarmente le competenze legate ai “ferri del mestiere”, ma ciò non può avvenire a danno di una formazione strutturale di base come quella storica. Forse non ci si rende adeguatamente conto del fatto che continuando a marginalizzare l’insegnamento della Storia si toglie progressivamente alle giovani generazioni la consapevolezza della società reale e del suo sviluppo nel tempo, capace di formare, di influenzare e modificare quel presente che i giovani stessi dovrebbero vivere attivamente da protagonisti. L’allontanamento dalla Storia o la messa tra parentesi della dimensione storica avvengono, oltretutto, proprio in un periodo in cui sempre più gli adolescenti tendono a costruirsi mondi paralleli e a trovare rifugio in una realtà virtuale. Al di là di ogni aspetto contenutistico, limitando il peso e il significato della preparazione storica la scuola italiana viene meno a un suo fondamentale ruolo di formazione civica e sociale; diminuisce ulteriormente il peso specifico della sua effettiva capacità educativa, oggi già drasticamente ridotta dall’intervento massiccio, pervasivo, indifferenziato del Web. Tutto questo senza contare che anche ogni settore culturale/disciplinare “di indirizzo”, per quanto possa essere coltivato in classe con cura da specialisti risulterà parzialmente svuotato se mancante del contesto storico di base; e l’effettiva comprensione da parte degli alunni sarà certo minore, se depotenziata della prospettiva storica.
Al di là delle specifiche tracce previste dall’Esame di Stato, occorre dunque ridare all’insegnamento della Storia la centralità che gli spetta di diritto nei programmi ministeriali quale contributo irrinunciabile alla conoscenza della realtà, in un’epoca oltretutto viziata dal fiorire continuo di fake news che contribuiscono non poco all’attuale smarrimento dei giovani. Solo l’acquisizione progressiva di una mentalità storica potrà in questo senso “vaccinarli”, portandoli a una migliore comprensione di sé e del mondo.
Certo, l’insegnamento della Storia andrà inteso nell’accezione più vasta e più varia: storia politico-istituzionale, storia sociale, storia economica, storia culturale, storia materiale. Alla base di una nuova calibrazione dell’insegnamento della Storia penso debba esserci in definitiva la convinzione che niente di quanto riguarda lo sviluppo della civiltà umana da qualsiasi punto di vista possa essere escluso da una prospettiva autenticamente storica. In sintonia, direi, con la visione globale che sostanziava “Les Annales” di Lucien Febvre e Marc Bloch ponendo al centro la dimensione della “lunga durata”, che ritma la storia non come “histoire évenementielle” ma come lenta trasformazione, come realtà vissuta giorno per giorno a livello individuale e collettivo, sempre in modo concretamente umano.
Ritrovare la Storia a scuola come qualcosa di autentico e di nuovo vuol dire anche e soprattutto costruire una didattica diversa, capace di andare oltre la comunque utile lezione frontale: si tratta di coinvolgere gli studenti nel lavoro di studio e di analisi delle fonti, nell’esame e nell’elaborazione argomentativa delle situazioni, nella ricerca e nella produzione in proprio a livello individuale e di gruppo attraverso forme di laboratorio, nel dibattito e nella valutazione critica quale guida alla comprensione effettiva. Gli studenti dovranno insomma divenire autentici protagonisti di un percorso sulle tracce di un passato che si riverbera sul presente, contribuendo in modo decisivo alla sua costruzione. E di questa interdipendenza passato-presente i giovani non possono non divenire consapevoli.
Anche la ricostruzione collettiva di vicende limitate ma emblematiche potrà avere un effetto davvero formativo. Fra i tanti possibili, mi vengono sul momento in mente due esempi significativi di “storia al quadrato”, cioè di storia di storici. Ripercorrere la vicenda di Emanuel Ringelblum e del gruppo di storici dell’ “Onegh Shabbat”, solerti nel raccogliere con eroica pazienza le ultime tracce materiali della vita ebraica nel Ghetto di Varsavia, potrebbe certo aiutare gli studenti a riflettere sul ruolo fondamentale dello storico e della storiografia nel mantenere consapevolezza della realtà. La ricostruzione del percorso scientifico e della morte da partigiano del grande storico medievalista Marc Bloch, torturato per tre mesi e poi fucilato dai nazisti il 16 giugno 1944, li spingerebbe probabilmente a porsi la questione non indifferente dell’impegno ideale e politico dell’intellettuale.
David Sorani
(18 giugno 2019)