Laicità in crisi
Della questione dell’esibizione dei simboli religiosi (crocifissi, rosari ecc.) nel corso di manifestazioni di partito, a fini di propaganda politica e della rivendicazione delle cd. “radici” e “identità” cristiane come valori preziosi da difendere, contro le invasioni barbariche in atto, ho già avuto modo di parlare in passato, e non vorrei ripetermi. Considero, sempre e comunque, in ogni luogo e in ogni tempo, la commistione di politica e religione qualcosa di regressivo, oscurantista, blasfemo, penso che tutti i regimi teocratici, sempre e dovunque, in nome di qualsiasi dio, siano i peggiori, che avere come governanti civili persone che agiscano in nome del Signore sia sempre una tragedia, così come lo sia avere dei ministri di culto che si immischiano nelle materie dell’amministrazione civile. Ma so bene di essere in minoranza. I nostri ospedali, i nostri tribunali, le nostre scuole, i nostri uffici comunali e ministeriali sono zeppi di crocifissi, immagini votive e cose del genere, e se qualcuno si azzarda a dire che non dovrebbero stare là viene aggredito come un orrido Anticristo, e non troverà un cane che lo difenda. Se poi osasse adire le vie giudiziarie, apriti cielo. A Berlino, per queste cose, un giudice non ci sarà mai. Non mi ricordo chi, tanto tempo fa, disse che bisognerebbe dare a Dio quel che è di Dio, e a Cesare quel che è di Cesare, forse era un comunista, se si presentasse oggi chi sa cosa gli farebbero. E poi, chi sa se quelle parole le ha veramente dette, probabilmente devo essermi confuso.
Il fatto che oggi molti denuncino l’uso politico della religione, perciò, dovrebbe farmi piacere, perché dovrebbe voler dire che a protestare (ma ormai non lo faccio più, sono rassegnato) non sono solo, c’è qualcun altro che pensa che politica e religione debbano restare separate. Ma, purtroppo, per il mio connaturato pessimismo, non penso che sia così. Non mi pare che il valore della laicità, da sempre tra i meno sentiti nel nostro Paese, conosca oggi un revival, almeno in alcune fasce dell’opinione pubblica. Altrimenti, se così fosse, si dovrebbero ascoltare delle voci critiche anche le numerose volte che, da parte ecclesiastica, si esercitano indebite pressioni atte a condizionare l’approvazione di leggi su materie (quali le unioni civili, le disposizioni di ultima volontà, le adozioni, l’accanimento terapeutico e tante altre) che riguardano tutti, credenti e non credenti, e sulle quali la Chiesa ha certamente il diritto di manifestare le proprie idee, ma non quello di interferire nel processo legislativo (cosa espressamente vietata dai Patti Lateranensi). Ma questo non accade mai. Non ho neanche sentito proteste di alcun genere quando, da un alto pulpito, si è consigliato di fare curare i bambini omosessuali, o si è detto che le donne che ricorrono alla legge 194 fanno ricorso a un sicario. Se è da noi riconosciuto, in genere, il principio di libertà “di religione”, completamente ignorato continua a essere, invece, come già scrissi in passato, il non meno importante principio della libertà “dalla religione” (che è invece espressamente sancito, per esempio, nella Costituzione tedesca).
Condivido, quindi, le critiche alla strumentalizzazione della fede fatta a scopi politici, ma credo che in ciò che oggi accade ci sia un elemento piuttosto nuovo, che non mi pare essere adeguatamente preso in considerazione. Questa novità risiede nel fatto che oggi i simboli del cristianesimo sono adoperati da alcuni politici – in modo spregiudicato ma abile – in modo diretto e personale, senza passare – come accadeva in passato – per la mediazione della Chiesa, e senza chiedere a nessuno autorizzazioni di sorta. Il fatto, anzi, che a sbandierare l’identità cristiana e a votarsi “al cuore immacolato di Maria” siano dei soggetti che sono, su materie di grande importanza – a partire dall’immigrazione – in assai scarsa sintonia, se non in urto frontale con le posizioni delle gerarchie ecclesiastiche, dà motivo di riflessione, e credo che sia non già un motivo di imbarazzo, ma anzi una delle ragioni del forte e crescente consenso di tali forze politiche. Che il cristianesimo sia esibito senza l’imprimatur ecclesiastico, e spesso addirittura ‘contro’ il magistero della Chiesa, a molte gente, evidentemente, piace. Ed è un segno evidente di debolezza del potere ecclesiastico, come starebbero a dimostrare le assai rare e flebili critiche, da parte del Vaticano, di queste utilitaristiche strumentalizzazioni del crocifisso e del rosario. La Chiesa non protesta, perché sente di avere a che fare con umori forti, diffusi e crescenti dell’opinione pubblica, che non è possibile – e, probabilmente, neanche conveniente – cercare di arginare.
La novità, quindi, non consiste nell’uso politico della religione, che c’è sempre stato, ma nel fatto che la stessa è ormai stata affrancata dal ‘copyright’ che sembrava, precedentemente, vincolarne e limitarne l’utilizzo. Mai come oggi, perciò, di ‘cristianesimi’ ce ne sono tanti in giro, e ognuno si prende quello che preferisce. C’è quello “di sinistra”, pro-poveri e immigrati, e quello “di destra”, sovranista e ‘familista’, che vuole la donna a casa fare figli, e tanti altri ancora. Nessuno è vero, nessuno è falso. Chi esalta tanto le “radici cristiane” dell’Europa dovrebbe un po’ riflettere su questo semplice dato di fatto.
Francesco Lucrezi
(19 giugno 2019)