“Il re è nudo,
lo sanno tutti”

punturelloIl vento ha soffiato, ho letto molte riflessioni giuste ed ho anche visto che le solite criature sui social network hanno pazziato: è giunto il momento di mettere in ordine le dure parole scritte dal sottoscritto.
Prima di tutto, a quanto pare, la citazione da me ascoltata più di una volta durante chiacchierate amicali era errata (oltre ad essere sessista come fatto notare da alcuni amici) e quindi rispetto alla memoria di Rav Toaff zl dovremmo dire che era il genero, l’amico prof. Sergio Della Pergola, che immaginava il suo operato rabbinico secondo i criteri citati e non lui stesso zl che usava i suddetti criteri per definire un operato rabbinico ideale. Complicato come passaggio lessicale ma, se ho capito male, non posso citare erroneamente le fonti e me ne scuso, fermo restando il senso della forza (sessista) della espressione (politicamente incorretta).
Ora dedichiamoci al testo stesso.
A quel testo che è stato definito: toppa, scivolone, follia, cazzata, idiozia, offesa, lashon hara, motzi shem ra, chilul HaShem, polemica inutile. Ma è anche stato definito: giusto, di grande coraggio, onesto intellettualmente, “Punturello c’ha ragione”, “erano anni che lo volevo dì”. E vi assicuro che i complimenti mi terrorizzano molto di più delle pesanti critiche. Mi terrorizzano perché io non sono fuori dal mondo ebraico italiano, dal punto di vista della mia formazione, almeno nella sua prima parte, e di molta della mia identità. Per questo motivo i dolori, gli errori, le sofferenze dell’ebraismo italiano mi appartengono e certamente non sono fonti di gioia. Per questo motivo non sono certo felice di aver aggiunto un eventuale errore.
Certamente quanto da me scritto non è un testo eroico, non uno di quelli di cui andare particolarmente fieri, certamente non è una carezza e contiene un grande errore: la generalizzazione. Inviando un messaggio generale e generalizzato ho tentato di dare uno scossone senza entrare nel merito di ogni dolore, di ogni errore, di ogni sofferenza di cui sopra. Un mezzo, quello della generalizzazione, che ai miei occhi avrebbe dovuto salvare il testo stesso dall’entrare in particolari che avrei risparmiato volentieri. Ma questa scelta si è rivelata un errore. Sebbene grazie a questo errore ho ripreso a confrontarmi con colleghi-maestri, con i quali non parlavo da anni perché di fatto non siamo amici, mentre con amici-maestri sono ormai anni che non riesco a parlare. È stato questo testo un mezzo di lashon hara? Di motzi shem ra? E qui dipendiamo da una serie di fattori. Se vediamo la generalizzazione del testo come una accusa indiscriminata, valgono le prime ipotesi di lashon hara e motzi shem ra, ma se il testo è una forma generale di analisi per non entrare in dettagli ed episodi che senza alcun dubbio sarebbero lashon hara e motzi shem ra, allora l’ipotesi è diversa. Come a dire che parlando di “tutti”, almeno abbiamo salvato coloro che sono consapevoli di non essere assolutamente colpevoli della nudità del re, che resta, nel suo insieme, nudo. Il problema sta anche nel riconoscersi, drammaticamente e personalmente nelle mie parole ed ovvio che a colui che sa di non essere coinvolto vanno le mie scuse, ma il messaggio nella sua sostanza non cambia, perché il re nudo è cosa pubblica. Chi è il re? Noi tutti, noi istituzioni, religiose o laiche che è siano. Un re che è nudo perché si sceglie di non vestirlo.
Perché, entrando nel merito delle questioni sollevate, se è vero che molti rabbini italiani dialogano con il mondo reform locale, questo non è mai stato visto pubblicamente ed è triste. È triste che l’ortodossia non pubblicizzi il proprio lavoro di puro kiddush hashem nei confronti di altre denominazioni, ma è anche tristissimo e doloroso che quelle stesse denominazioni non abbiano mai mostrato pubblicamente di non essere stati trattati da pariah. Allo stesso modo, se è anche vero che i maestri che lavorano (e giustamente guadagnano, perché il guadagno è legittimo e sacro) nel campo della kasherut aumentano i meriti del pubblico ed i prodotti kasher disponibili in Italia, anche questo non è stato visto diffusamente e pubblicamente tolte alcune parentesi prima di Pesach, ed anche questo è un peccato, nel senso che è una pena che non si cominci ad usare la kasherut come giusto mezzo per vivere e far vivere meglio il consumatore kasher. Mi si dirà che non vivo in Italia da tanti anni, ma ci si dimentica che fino a ieri ci lavoravo, al Sud in primo luogo e con molte conferenze ed interventi tra Roma, Milano e altre realtà comunitarie strutturate o sezioni come Sannicandro e Palermo. Certo l’accusa di non essere presente “fisicamente” nella nostra generazione fa un po’ sorridere data l’esistenza di moderne connessioni oltre i confini geografici, ma essere prolissi è un difetto e non una dote. Ed allora usciamo dal pantano del dubbio e dell’errore, da quel pantano che a torto o a ragione è stato smosso, e indichiamo con maggiori precisioni le nudità del re. Una nudità istituzionale che ha permesso, nel Sud che conosco bene, un percorso di conversione familiare con un conseguente matrimonio spettacolarmente ebraico ed, allo stesso tempo, in quella stessa aerea geografica la stessa nudità del re non permette il ghiur ad altri, proprio perché non vivono vicino a comunità strutturate. Chiedo solo una cosa: “Perché?” Lascio ai molti la risposta, ma che a rispondere siano tutti coloro che erano presenti all’evento e non mi si risponda usando la parola “eccezione”, lì dove prima di ogni cosa è necessario stabilire regole chiare e condivise. Probabilmente il re è vestito con vesti molto sottili e trasparenti, ma almeno vorrei saperlo chiaramente, per non continuare a fare finta niente. Perché è proprio ignorando il problema, affermando di non esserne coinvolto, sottolineando la propria distanza da esso, che il problema si ingrandisce fino a diventare assenza di autorevolezza e mancanza di consapevolezza, elementi che non sono prerogativa dei rabbini o di tutti rabbini, ma pur non essendo un uomo di corporazione, da persona “qualsiasi” ( cit.) tendo sempre a pretendere il meglio dal mondo a me più vicino, fermo restando che la nudità del re è di tutti i rappresentanti dell’ebraismo in Italia. E come si è visto, per smuovere lo stagno non ci vuole poi molto, un qualsiasi idiota come me può farlo: la sfida è rendere lo stagno un luogo di vita coerente e rispettosa per tutti.

Rav Pierpaolo Pinhas Punturello

(21 giugno 2019)