Legge ebraica e donazione di organi:
salvaguardia della vita al centro

Il principio della salvaguardia della vita umana come valore assoluto è uno dei fondamenti della tradizione ebraica. Il tema della donazioni di organi è in questa prospettiva uno degli ambiti più delicati, dove si vanno a esplorare gli interrogativi più profondi legati alla concezione della vita e della morte tra etica, Halakhah (legge ebraica) e scienza medica.
“La necessaria premessa su questo tema è stare sempre attenti a non banalizzare questioni molto complesse – spiega Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma già primario di radiologia all’Ospedale San Giovanni della Capitale e vicepresidente del Comitato nazionale per la Bioetica – Nell’ebraismo la salvezza della vita umana è fondamentale e supera ogni altro tipo di considerazione. Ma la necessaria specificazione è che tutte le vite sono uguali, anche quella di coloro che si trovano in stato agonizzante o vicino alla fine”. Il rabbino capo di Roma sottolinea come i trapianti di organi si dividano in trapianti da vivente e trapianti da cadavere. Il primo caso comprende per esempio il trapianto di rene, per il quale esiste la possibilità che il rene venga espiantato da un individuo donatore. “Ciò è consentito dalla legge ebraica nella misura in cui il donatore non rischi a sua volta la vita, sia consenziente e la sua scelta non sia il risultato di sfruttamento, ciò che purtroppo non va assolutamente dato per scontato nel mondo di oggi” spiega il rav.
Di fronte alla questione della donazione da cadavere, la centralità della salvezza di una vita umana supera il problema del vilipendio del corpo. “Un tema che – avverte – comunque viene preso sul serio dalla tradizione ebraica”.
La domanda cruciale diventa allora quella della definizione di morte, ovvero se la vita cessi nel momento in cui il cuore smette di battere, oppure se sia sufficiente lo stato di morte cerebrale. “Questo è il punto di dibattito, ed è fondamentale perché certi organi, come per esempio cuore e polmoni, devono essere espiantati a cuore battente. In questa prospettiva io mi appoggio all’opinione diffusa nel rabbinato, e appoggiata dal Rabbinato centrale di Israele, che la morte cerebrale sia sufficiente”.
Evidenzia il rabbino che tuttavia le previsioni della legislazione italiana in tema di consenso per un futuro ed eventuale espianto degli organi siamo “per certi aspetti insufficienti a garantire il rispetto dei requisiti halakhici”, dunque la cosa migliore sia “inserire disposizioni in merito nella DAT, la Disposizione anticipata di trattamento, nota anche come testamento biologico (il documento, con valore legale, con cui la legge prevede la possibilità per ogni persona di esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi ndr)”.
Rav Di Segni, come oltre 200 rabbini da tutto il mondo, è un membro della Halakhic Organ Donor Society, organizzazione fondata nel 2001 dal giornalista americano Robby Berman per sensibilizzare il mondo ebraico sul tema della donazione degli organi.
“Lavoravo da giornalista free lance e scoprii che a Israele non era consentito entrare a far parte del Network of Organ Sharing dell’Unione Europea. La ragione data dipendeva dal fatto che in Israele solo il 3 per cento della popolazione avesse dato il consenso alla donazione degli organi, il tasso più basso nel mondo occidentale. Era chiaro che in una situazione del genere Israele non avrebbe mai avuto un numero in eccesso di organi donati, ma sempre e soltanto una carenza” spiega Berman. “Chiedendo agli israeliani perché mai non accettassero di diventare potenziali donatori, tutti mi rispodevano allo stesso modo: l’Halakhah proibisce la donazione degli organi. Lo trovano piuttosto strano, considerando che la maggior parte degli israeliani sono laici e non osservanti della legge ebraica. Ma pare che la santità del corpo sia diventata un tabù, consolidato nella cultura ebraica. Così invece di scrivere un articolo sull’argomento, decisi di fondare un’organizzazione no-profit a scopo educativo per promuovere la consapevolezza sul supporto halachico per la donazione degli organi”.
Chiave del lavoro di Berman è aumentare la cognizione dei termini del dibattito, e della posizione favorevole alla donazione degli organi di una larga parte dei leader religiosi in tutto il mondo. “La morte cerebrale indica che il cervello è morto mentre il paziente era già attaccato a un ventilatore. Dunque il cuore continua a battere per alcuni giorni ulteriori perché riceve ossigeno artificialmente. Molti rabbini, incluso il Rabbinato Centrale d’Israele, ritengono che la morte cerebrale sia morte, e che il cuore sia solo una pompa biologica” sottolinea il giornalista, aggiungendo che la posizione assunta da altri rabbini in materia sia invece quella di considerare il cuore battente come un segno di vita umana. “Dunque questi proibiscono l’espianto degli organi dal corpo in questa situazione perché ritengono che equivarrebbe a uccidere il donatore”.
Dalla fondazione della Halachic Organ Donor Society, la situazione in Israele è comunque sensibilmente migliorata. “Quando ho fondato l’organizzazione, soltanto due rabbini nel paese erano portatori di un documento che dava l’assenso alla donazione degli organi in caso di morte e solo il 3 per cento della popolazione si era espresso in tal senso; c’erano intanto 120 cittadini che ogni anno morivano in attesa di un trapianto. Noi abbiamo fatto sì che centinaia di rabbini ottenessero una ‘organ donor card’, la percentuale di popolazione che ha fatto altrettanto è salita al 16 per cento, e il numero degli israeliani che muoiono in attesa di trapianto è sceso a 80”.
Anche nell’ambito della comunità ebraica italiana ci si è mossi per sensibilizzare l’opinione pubblica, nonché per garantire da parte delle autorità dello Stato e delle strutture mediche l’attenzione verso le differenti sensibilità religiose sull’argomento.
“Di recente, abbiamo partecipato alla realizzazione di una pubblicazione sul tema della donazione degli organi con il Progetto Insieme per Prendersi Cura, con il capitolo sull’ebraismo realizzato da Paolo Sciunnach, che è un membro dell’Assemblea rabbinica italiana, istituzione che si è occupata di redigere la disposizione in merito al tema” ricorda Giorgio Mortara, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con delega ai servizi sociali e presidente onorario dell’Associazione Medica Ebraica. Il Progetto si occupa proprio della “necessità di mettere in comunicazione, in modo efficace e qualificato, diversi ambiti della società italiana, sempre più multiculturale e multietnica. In particolare il mondo ospedaliero nel quale convergono una varietà di figure professionali e assistiti di ogni provenienza, lingua, cultura e religione”, come si legge sul sito, e lavora con particolare riferimento a cristianesimo, ebraismo e islam, ma anche buddismo e induismo. Mortara condivide poi la sua esperienza come donatore di midollo, e ricorda il profondo impatto che la scelta di mettersi in gioco in questo tipo di ambito può produrre. “Mi sono iscritto alle liste di donatori di midollo una ventina di anni fa, e dopo circa un anno e mezzo mi avvertirono che c’era una richiesta in arrivo dalla Francia. I successivi test confermarono la compatibilità e così donai. Non ne ho mai conosciuto l’identità, ma ancora una decina di anni dopo sapevo che la persona che aveva ricevuto il mio midollo era guarita e conduceva una vita normale” ricorda il vicepresidente UCEI.
“Nell’ambito della comunità ebraica italiana vedo senz’altro un interesse importante e una partecipazione cognitiva all’idea di prestare il consenso a un futuro eventuale espianto degli organi, ma non una grande messa in pratica della buona intenzione, forse perché esiste comunque una reticenza legata all’idea del credo nella resurrezione dei morti (alla venuta del Messia ndr). Abbiamo avuto invece diversi casi di donazioni da vivente, una moglie, un parente che ha scelto di donare il proprio rene al congiunto che ne aveva bisogno”.
Per coloro che desiderassero prestare il consenso alla donazione, come ricordato da rav Di Segni, lo strumento della DAT consente di richiedere che un consulente esperto di halakha affianchi il personale medico incaricato.
“La solidarietà e l’aiuto a chi soffre sono principi fondamentali dell’Ebraismo. La donazione di organi è un atto di grande solidarietà e di valore etico-religioso” scrive il rabbino Paolo Sciunnach nel capitolo dedicato alla prospettiva ebraica del volume ‘Etica laica e religiosa dei trapianti di organo’. “L’Assemblea dei Rabbini d’Italia ha deliberato all’unanimità di seguire su questo argomento l’orientamento del Rabbinato Centrale d’Israele. I criteri stabiliti dalle attuali disposizioni legislative italiane per l’accertamento della morte cerebrale sono tuttavia meno rigorosi di quelli stabiliti nei documenti tecnici allegati alle delibere del Rabbinato Centrale d’Israele: quindi un assenso non condizionato del potenziale donatore ebreo italiano lo espone al rischio di essere considerato deceduto quando per la legge ebraica (Halachà) è ancora in vita. Per questi motivi l’Assemblea suggerisce, agli ebrei italiani che desiderano partecipare alla donazione di organi, la sottoscrizione di una formula di consenso nella quale sia espressamente aggiunta questa condizione: ‘purché l’accertamento del decesso, in aggiunta ai criteri stabiliti dalle leggi vigenti, sia eseguito secondo le modalità tecniche che verranno indicate dall’Assemblea dei Rabbini d’Italia’”.

Rossella Tercatin

(21 giugno 2019)