Religione e religiosità
Collegandomi a quanto ho avuto modo di scrivere nella mia nota settimanale di mercoledì scorso, riguardo ai concetto di laicità e di libertà “di religione” e “dalla religione”, vorrei svolgere qualche breve considerazione riguardo alla parola che è al centro di tali nozioni, e il cui significato si dà spesso per scontato, come se si trattasse di una nozione ovvia, da tutti conosciuta e da tutti intesa nello stesso modo. Tutti sanno che ci sono e ci sono state diverse religioni, sulle quali ognuno la pensa a modo proprio. Quelle appartenenti al passato (l’Olimpo greco e romano, i culti precolombiani, l’animismo ecc.), ormai, stanno solo nei libri di storia, inutile chiedersi se fossero buone o cattive, belle o brutte. Tra quelle ancora in vita, chi crede in una di esse, può avere verso le altre gli atteggiamenti più diversi (simpatia, avversione, indifferenza ecc.), così come gli atei o gli agnostici possono giudicarle, tutte insieme o singolarmente, nei modi più diversi. Tutti, però, quando pronunciano la parola “religione”, credono di fare riferimento a un concetto ben preciso, di cui tutti ritengono di conoscere il senso.
Invece, non c’è forse parola, in tutte le lingue del mondo, dal significato più mutevole, complesso, sfuggente, prismatico. Di questa parola, forse, si può dire lo stesso che disse Sant’Agostino a proposito del tempo, ossia che è quella cosa che tutti sanno che cosa sia, a meno che non lo si debba spiegare. E non è un caso, perché le parole “religione” e “tempo” hanno molto in comune, essendo la prima, in pratica, deputata a svelare il mistero della seconda. Può essere utile, al riguardo, rileggere quanto ebbe a scrivere, a proposito, uno dei massimi studiosi del fenomeno religioso, Angelo Brelich: “La storia delle religioni, o anche di una religione… non è la storia dell’inesauribile varietà di comportamenti, idee, reazioni, sentimenti, credenze, esperienze religiose, diversi non solo di epoca in epoca e di classe in classe sociale, ma di momento in momento anche nella vita di un singolo individuo e di individuo in individuo anche nello stesso momento; una tale concezione confonderebbe la religione con la religiosità, trascurando l’essenziale aspetto istituzionale della prima. Ogni singola religione è un complesso di istituzioni che non cambiano di giorno in giorno e si conservano indipendentemente dalla sempre varia e mutevole religiosità degli individui, che è il rapporto soggettivo, hic et nunc, di questi con le istituzioni”. (Appendice a Tre variazioni romane sul tema delle origini, ed. 2010).
È davvero difficile trovare un comune denominatore di tutte le espressioni religiose, di ogni luogo e ogni tempo, qualcosa che accomuni le offerte agli dei omerici alle odierne processioni mariane, i sacrifici praticati dagli antichi maya alle adorazioni del sole e delle luna, il culto di Mani e Zoroastro alle pratiche sacerdotali per propiziare il raccolto, la pioggia, gli esiti delle battaglie ecc. Ma tutte queste cose, secondo Brelich, attengono alla storia delle istituzioni religiose – quella dei riti, dei sacerdozi, dei templi -, l’unica di cui siamo in grado di sapere qualcosa, l’unica che può entrare nei libri di storia. Perché della storia della religiosità degli uomini, in realtà, non siamo in grado di sapere assolutamente nulla. Sarebbe così difficile, come giustamente nota il grande studioso, perfino sintetizzare quale sia il nostro personale sentimento religioso in un preciso momento. Anche chi dica, sbrigativamente, “credo”, o “non credo”, non fa che ridurre in una formuletta un bagaglio di pensiero che richiederebbe ben altra articolazione.
Personalmente, penso che le religioni, in tutti i luoghi e tutti i tempi, siano servite e servano essenzialmente a due obiettivi opposti: cercare di interpretare il senso dell’esistenza; non porsi domande sul senso dell’esistenza. Nascono, infatti, per dare una risposta a questa domanda di senso, ma poi si ritualizzano, e diventano istituzioni, perché questa dolorosa ricerca venga abbandonata, a vantaggio di più rassicuranti e innocue pratiche collettive. La storia delle istituzioni religiose è una storia di identità, appartenenza, divisioni, contrapposizioni, conflitti. La storia delle religiosità – che non si può raccontare – accomuna tutti gli essere umani, senza alcuna distinzione, e finirà con la fine degli uomini.
Francesco Lucrezi, storico