Aria torbida in Medio Oriente
C’è un’aria torbida in Medio Oriente, e non solo. Prendendo spunto da due episodi a cavallo tra cronaca nera e spy stories – i casi Regeni e Kashoggi – da tempo la stampa liberal dell’Occidente si è affiancata ai regimi che cercano di destabilizzare il Medio Oriente – quello turco e quello iraniano – per cercare di colpire l’Egitto e l’Arabia Saudita, utilizzando le armi dell’indignazione contro il mancato rispetto dei diritti umani. È evidente che Egitto e Arabia Saudita non sono due Paesi modello nel rispetto dei diritti umani, ma quale Paese islamico lo è? L’idea stessa di diritti umani è assai diversa in Occidente e nel mondo islamico tanto che, accanto alla Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata dall’ONU il 10 dicembre 1948, esiste una diversa Dichiarazione islamica dei diritti umani, che i Paesi islamici riuniti al Cairo hanno approvato il 19 settembre 1981. E non può che essere così, vista la profonda diversità dei valori di base, a partire, non bisogna stancarsi di ripeterlo, dal tema del riconoscimento della parità di dignità e di diritti delle donne.
Il mancato rispetto dei diritti umani è evidente non solo nella politica dei due Stati che oggi sono in prima linea nell’attacco all’Egitto e all’Arabia Saudita – la Turchia e l’Iran – ma anche, e con particolare evidenza, in quella di un altro Paese che si è loro affiancato, la Siria. La Siria è da decenni il luogo dove si sono perpetrate stragi di civili che hanno sconvolto il Paese, sotto la direzione prima di Assad padre e poi del suo degno figlio, leader del partito nazionalsocialista Baath, che un tempo era particolarmente amato dai liberal occidentali, anche se poi si sono dovuti ricredere di fronte all’evidenza.
Gli attacchi strumentali contro Egitto e Arabia Saudita hanno una matrice evidente, se la si vuol vedere. Sono i due Paesi che, in tempi e con modalità diverse, hanno rotto un equilibrio mediorientale che poggiava sul dogma del rifiuto dell’esistenza dello Stato d’Israele e quindi sull’appoggio a ogni tentativo – terroristico o diplomatico – che portasse alla distruzione dell’odiato nemico sionista. All’ombra di questo dogma sono state nascoste per decenni tutte le contraddizioni che attraversavano il mondo arabo-islamico, fino al momento in cui è apparso evidente che la finzione – perché di finzione si trattava – non poteva reggere più a lungo, soprattutto di fronte al rifiuto sempre più evidente della dirigenza palestinese di giungere ad un accordo di pace.
È così avvenuto che il fronte islamico si è spaccato e i Paesi della penisola arabica, l’Arabia Saudita ma anche gli Emirati Arabi Uniti e l’Oman, hanno preso atto che la collaborazione con Israele pagava ben più che una sterile contrapposizione di principio. Egitto e Giordania – che in passato erano stati all’avanguardia nella lotta con Israele pagandone i prezzi maggiori – da molto tempo ormai avevano cambiato politica, arrivando alla firma di trattati di pace e allo stabilimento di relazioni diplomatiche. Anche altri due Paesi del Nord Africa, Marocco e Tunisia, da tempo hanno stabilito con lo Stato ebraico relazioni economiche e culturali.
In questo quadro l’Iran – che della distruzione dello Stato ebraico ha fatto una sorta di dogma di Stato – si sarebbe trovato isolato se non fossero intervenute le vicende – per molti aspetti ancora oscure – che hanno portato alla costituzione del Daesh, il cosiddetto Stato islamico, la meteora che per un periodo di tempo relativamente breve ha sconvolto l’assetto del Medio Oriente. Sbriciolatasi l’esperienza del Daesh, sulle sue rovine è emersa l’altra potenza che aspira a un ruolo egemone nel Medio Oriente, la Turchia neo-ottomana del Sultano Erdogan, che si è appropriato della bandiera ormai logora dell’antisionismo, affiancandosi in questo al rivale Iran, e conducendo in alleanza con questo e con la Siria di Assad una guerra di distruzione del popolo curdo.
È lecito domandarsi se le brave persone e le amministrazioni comunali che continuano ormai da troppo tempo a esporre striscioni che chiedono “verità su Giulio Regeni” sono consapevoli del fatto di essere divenute pedine, anche se molto piccole, di un gioco più grande che si svolge sopra le loro teste e che con l’invocazione del rispetto dei diritti umani ha ben poco a che fare. C’è anche da chiedersi se si tratti solo di ingenuità oppure anche di qualcosa di diverso, visto che, accanto alla insistita e unilaterale posizione anti-egiziana, non si è mai cercato di fare veramente luce sull’origine della vicenda, la natura della missione affidata al giovane ricercatore dalla sua docente Maha Abdel Rahman, in sospetto di essere affiliata o comunque vicina ai Fratelli Musulmani. Quei Fratelli Mussulmani che da quasi un secolo sono alla base di tutti i tentativi di destabilizzazione dell’area, e che hanno trovato il loro ultimo terreno di coltura a Gaza.
Valentino Baldacci