George Eliot e la nascita dello Stato ebraico
È il 1896 quando vede la luce Der Judenstaat (Lo Stato ebraico), il testo di Theodor Herzl che segnerà l’inizio dell’impresa del sionismo in un’Europa in cui l’antisemitismo tornava ad alzare pericolosamente la testa. Pochi mesi ancora e a Basilea, in occasione del primo Congresso sionista, i delegati accorsi in Svizzera daranno il via a un progetto destinato a trasformare un’intuizione formidabile in uno Stato sovrano.
Herzl, come noto, ebbe la forza di rappresentare e incanalare un’aspirazione che montava. Già altri prima di lui si erano però dedicati a un’elaborazione di temi complessi, destinati a trovare nello Stato ebraico la piena realizzazione. Tra le figure più originali spicca quella di un’intellettuale che a differenza di Herzl non era ebrea: la scrittrice inglese Mary Ann Evans, conosciuta anche come George Eliot, che nel 1876 fu autrice di un vero e proprio romanzo “protosionista”: Daniel Deronda.
Alla sua affascinante figura è dedicato George Eliot e la nascita dello Stato ebraico, ultima fatica di Elia Boccara appena pubblicata da Giuntina nel duecentesimo anniversario dalla nascita della scrittrice. Un nuovo prezioso tassello di conoscenza offerto dallo studioso, autore tra gli altri de “Il peso della memoria. Una lettura ebraica del Nuovo Testamento” (EDB, 1994), “In fuga dall’Inquisizione” (Giuntina, 2011), “L’invenzione marrana” (Giuntina, 2014), “Un ebreo livornese a Tunisi” (Giuntina, 2016) e “Sionisti cristiani in Europa” (Giuntina, 2017).
Il saggio di Boccara si apre con “l’itinerario ebraico” di George Eliot e prosegue con un’analisi legata agli anni che precedettero Daniel Deronda, al periodo in cui fu scritto e ai riscontri della critica. Interessante, tra gli altri, il capitolo dedicato alle reazioni che vi furono in campo ebraico. Sottolinea infatti l’autore: “In tutti gli ambienti ebraici, in Inghilterra e anche altrove, quando la notizia si diffuse (spesso in modo spezzettato) la pubblicazione di Daniel Deronda riscosse un grande successo: che una cristiana si occupasse di ebraismo con tale sensibilità ed amore e anche con profonda competenza e comprensione commosse quasi tutti”. Boccara specifica di aver scritto “quasi” a ragion veduta, in considerazione del fatto che in Inghilterra, e a Londra in particolare, esistevano due tipologie di ebrei: “Coloro che alla spicciolata erano tornati nel paese a partire dei tempi di Cromwell” e che, avendo ormai ottenuto tutti i diritti civili e pure in certi casi delle posizioni di prestigio, “avevano pochi motivi per ricominciare tutto da capo senza nessuna garanzia di successo”. E poi “i transfughi di politiche ostili subite nell’Europa centro-orientale”, che al contrario “non avevano nulla da perdere e non erano guardati con particolare favore nel paese”.
Daniel Deronda, in ogni caso, lasciò il segno. Come chiaramente riconosce Dario Calimani nella prefazione: “George Eliot – scrive – rimane ancora oggi il faro più illuminato e lungimirante, la coscienza più dotata di spirito umanitario nei riguardi di un popolo vessato e oppresso, sensibile interprete dell’aspirazione ebraica all’autodeterminazione e alla libertà. E alla storica riunificazione nella terra dei padri”.
Una riunificazione cui, per evidenti motivi anagrafici, non potè assistere. Ma nella grande epopea sionista, come questo bel libro racconta, c’è anche un po’ del suo. Insieme almeno a un rimpianto, ben evidenziato da Alberto Cavaglion in suo recente intervento su questo portale: “Se il sionismo, come movimento di emancipazione nazionale, fosse nato un trentennio prima, come Eliot aveva vaticinato, se la sua profezia fosse stata ascoltata prima, le sorti dell’ebraismo in Europa nel Novecento con ogni probabilità sarebbero state meno tragiche”.
(27 giugno 2019)