Consociativismo all’italiana
Vorrei cogliere un elemento curioso nelle accuse di Cavaglion a proposito del supposto immobilismo dei rabbini italiani. Egli afferma che “tutto rimane sempre bloccato in un sempiterno ritorno dell’uguale. […] Decidere di non decidere è stato ed è purtroppo prassi corrente”.
Noi rabbini italiani di oggi veniamo accusati in alcuni casi dell’esatto contrario, cioè di aver assunto posizioni più rigorose rispetto al passato rompendo in questo modo con una secolare tradizione (ammesso e non concesso che ciò sia vero).
In un’assemblea comunitaria a Milano una ventina di anni fa, un noto esponente della sinistra laica disse, spiritosamente, che lui voleva non la rivoluzione ma la restaurazione, cioè un ritorno al passato quando i rabbini italiani erano più facilitanti.
Siamo immobili o facciamo scelte che non piacciono?
Un’informazione gratuita per Cavaglion: il movimento riformato in Italia c’è: a Milano, a Roma e a Firenze (con scarso successo ammetto) e nessuno ha impedito che ci fossero.
Il problema non è se in Italia debbano esistere movimenti riformati.
Il problema è che si vuole un movimento riformato con la benedizione dell’ortodossia.
Movimento riformato sì ma all’interno dell’Ucei che dovrebbe rappresentare l’ortodossia ebraica. In altri paesi la riforma c’è stata ma ha rappresentato esattamente il contrario: una rottura netta con l’ebraismo storico, con la Halakhà e con il Talmud di cui fu negata l’autorità. Invece qui si vuole una soluzione all’italiana, questa sì cattolica nel senso etimologico del termine cioè universale: tutti insieme appassionatamente anche se si esprimono posizioni diametralmente opposte e anche se si negano gli elementi fondamentali della Halakhà.
Mi dispiace Cavaglion: non siamo davanti alla riforma protestante, siamo davanti alla riproposizione del solito consociativismo all’italiana.
Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano