Tsahal, il giornalismo della democrazia
Se non ci fosse l’ostacolo della conoscenza linguistica, consiglierei a tutti l’ascolto (molto semplice via web) di alcune trasmissioni della rete radiofonica dell’esercito israeliano Galei Tzahal (letteralmente “le onde dell’esercito”). Si tratta di un canale che definirei “laico”, non nel senso di “non religioso” (cosa che per altro non è), ma per il fatto che tratta in maniera decisamente libera dei principali argomenti della politica, della cultura e finanche della difficile situazione militare di un paese che è pur sempre in guerra come Israele. Per limitarmi alle ultime settimane (spesso caratterizzate da dibattiti politici molto accesi dopo la convocazione delle elezioni anticipate) ho potuto ascoltare un’intervista molto interessante a David Grossman a poca distanza da altre ad alcuni leader della destra come Ayelet Shaked o Avigdor Liberman, seguite da un’intervista a un generale a riposo che criticava pesantemente alcune pratiche operative interne dell’esercito. Giovedì mattina la giornalista Ilana Dayan, che è una delle più brillanti firme della testata giornalistica, particolarmente caustica e poco accomodante con chiunque, ha accolto l’ex-primo ministro Ehud Barak (che ha di recente annunciato il suo ritorno in politica) incalzandolo con domande provocatorie per nulla semplici con l’intento evidente di testarne l’affidabilità come candidato alternativo al sempiterno Netanyahu. All’ascoltatore è capitato nella medesima ora di ascoltare un’intervista altrettanto interessante (e parimenti pungente) al capo dei negoziatori dell’Autorità Nazionale Palestinese Saeb Erekat a proposito della recente iniziativa economica di sovvenzioni alla realtà palestinese proposta dall’amministrazione Trump. Sempre sullo stesso canale radiofonico nel corso dell’ultima ondata di missili lanciati da Gaza sono state effettuate interviste sia ai residenti delle città di Sderoth o di Ashqelon che venivano fatte oggetto dei lanci, sia a cittadini palestinesi residenti a Gaza che dovevano affrontare il fuoco di ritorsione dell’aviazione israeliana.
Questo tipo di giornalismo credo che sia particolarmente latitante in Italia, e lo dico con dispiacere. L’idea di far parlare tutti, che è l’anima del pluralismo, ma senza lasciare che l’interlocutore semplicemente dica quel che vuole utilizzando il canale giornalistico come megafono, ma ponendogli questioni incalzanti che vadano a interrogarlo fra le pieghe delle sue contraddizioni, è una pratica assai rara nel nostro paese. E ancor più rara è l’idea di dare voce al proprio avversario, ammesso che sia tale. Deve sorprendere molti di coloro che sono abituati a interpretare la realtà del conflitto israelo palestinese con mentalità manichea (o proPal, o pro-Israele, duri e puri) il fatto che la radio ufficiale dell’esercito israeliano si ponga in ascolto e dia voce al mondo palestinese, ai suoi leader come ai semplici cittadini, ponendosi come tramite con la società israeliana che ascolta quel canale usualmente. Una lezione di libertà di espressione e di democrazia vera, dalla quale prendere esempio.
Gadi Luzzatto Voghera, direttore Fondazione CDEC