Giudizio sull’altro
A proposito della foto che circola in questi giorni dell’annegamento di un uomo salvadoregno e di sua figlia nel Rio Grande nella speranza di raggiungere gli Stati Uniti, su un celebre quotidiano italiano viene scritto “che papa è se fa crepare la figlia? Clandestino del Salvador fa annegare la figlia”.
La parola “clandestino” denota già nel linguaggio corrente un non-umano, un (s)oggetto privo di una storia e di un’identità, in definitiva qualcuno che viola le leggi e i nostri sacri confini per turbare la nostra tranquillità. Un disturbatore e un criminale al tempo stesso, il quale nell’appartenenza a queste categorie dovrà necessariamente essere anche un idiota e poi un malvagio che nell’attraversamento di un fiume porta volontariamente la propria prole alla morte. Alla stregua di quegli stolti africani che invece di prendere un confortevole e veloce aereo di linea percorrono il deserto del Sahara e il Mediterraneo, col rischio degli aguzzini libici, per venire in Europa.
Il dramma di quest’epoca oltre all’indifferenza è il non cercare mai di mettersi nei panni dell’altro, il non informarsi, il voler twittare su tutto solo per “sentito dire”, per opinioni personali, per controtendenza, o per qualche “like” in più. Anche le rare volte che si è a conoscenza di un argomento, si preferisce talvolta per comodità far finta di non sapere, di non vedere, per continuare a proferire le solite sciocchezze. In una drashà una volta sentii dire che non si dovrebbe mai affermare “io avrei fatto meglio e diversamente rispetto a quello o quella”. In generale, non ci troviamo mai nell’identica situazione e storia dell’altro, questa contingenza insanabile, la quale ci impedisce una comprensione a fondo di qualcosa che non ci riguarda direttamente, dovrebbe soprattutto esonerarci dal giudizio sull’altro.
Francesco Moises Bassano