Autismo, nuove scoperte
Un recentissimo studio pubblicato dalla prestigiosa rivista Cell collega l’insorgere dei disturbi autistici a cambiamenti nella flora batterica dell’intestino.
È noto che nell’intestino ci sono 50 milioni di neuroni (un numero pari a quelli presenti nel midollo spinale), e che questi neuroni sono strettamente collegati ai loro “fratelli” nobili, tant’è vero che l’intestino è stato ribattezzato “il secondo cervello” –e questo spiega perché, quando siamo in ansia, stressati o abbiamo paura, subito le condizioni psicologiche si ripercuotono sul nostro sistema digestivo.
I neuroni del cervello e quelli dell’intestino parlano un linguaggio simile: si segnalano per esempio la necessità di bere e di mangiare, fondamentali alla sopravvivenza, o viceversa la tristezza che fa passare la fame.. Si è molto parlato, a questo proposito, del rapporto tra digestione e depressione, e oggi studiosi in tutto il mondo, cercano di scoprire le influenze del microbiota (cioè la composizione della flora batterica) e del microbioma (l’insieme dei geni all’interno del microbiota) sulle malattie neurodegenerative, a partire da Alzheimer e Parkinson, e sul sistema immunitario, che anch’esso potrebbe essere collegato a queste sindromi.
Il rapporto tra disturbi autistici e microbiota era stato evidenziato già nel 2013 dalla ricercatrice Elaine Hsiao dell’UCLA: in un articolo pubblicato su Cell rilevava che le persone affette da spettro autistico hanno frequentemente seri problemi gastrointestinali, ed era riuscita a dimostrare la correlazione diretta tra batteri dell’intestino e spettro autistico, una sindrome che sta aumentando in tutto il mondo, e le cui cause sono ancora in buona parte misteriose. Ma non era chiaro se i cambiamenti nel microbiota fossero una conseguenza o contribuissero a causare almeno in parte l’autismo.
Ora, due ricercatori del CalTech, Gil Sharon, e Sarkis K. Mazmanian, hanno indotto l’autismo in topi sani, trapiantando il microbiota di individui umani affetti da sindrome dello spettro autistico e hanno verificato che questo è stato sufficiente a indurre sintomi di comportamenti autistici nei topi sottoposti all’esperimento.
Spiega il professor Sergio Nasi, dell’Istituto di Biologia e Patologia Molecolari
del CNR: “la cosa più sorprendente è che i topi colonizzati con il microbiota di soggetti autistici mostravano sia cambiamenti nell’espressione di particolari geni nel cervello, sia differenze nel tipo di metaboliti presenti. In particolare due metaboliti erano presenti in quantità ridotte. Il trattamento dei topi “modello” per l’autismo con questi due metaboliti riduceva i sintomi comportamentali associati all’autismo, come ad esempio l’isolamento sociale. Così si potrebbero un giorno curare i sintomi dell’autismo con metaboliti batterici o con prodotti probiotici. Oltre all’autismo, altre condizioni neurologiche potrebbero essere trattate con terapie che mirano all’intestino piuttosto che al cervello, un approccio senz’altro più agevole.”
Questa ricerca potrebbe dunque aprire la strada a terapie rivoluzionarie, basate sulla “normalizzazione” dei batteri intestinali e anche alla scoperta dell’effetto del microbioma sulle malattie immunitarie e neurodegenerative.
In tutto il mondo si stanno studiando, e vengono proposti commercialmente, test sul microbioma: ma siamo ancora lontani da diagnosi accurate e credibili, e soprattutto da terapie efficaci.
Sono stati tentati trapianti delle feci per esempio per la colite ulcerosa: ma si tratta di tecniche sperimentali e non prive di rischi.
In attesa quindi di novità – che certo non mancheranno, perché le ricerche oggi procedono con velocità esponenziale – può essere utile tenere sotto controllo la flora batterica – i medici di base possono suggerire probiotici, terapie antibiotiche, idrocolonterapia – e ricorrere a tecniche antistress – come la meditazione, che sempre di più sta dimostrando benefici effetti sul cervello e sul sistema nervoso vegetativo. Ed essere consapevoli che una dieta sana e bilanciata non ha solo positive ricadute estetiche, ma anche sul funzionamento del cervello. Tra l’altro, c’è chi sta cercando possibili collegamenti tra la crescita esponenziale dell’Alzheimer e inquinanti nei cibi che altererebbero il microbioma rendendo le persone più vulnerabili.
Viviana Kasam