Guardiamoci dentro
Dal “sasso lanciato nello stagno” alla “bonaccia delle Antille”, la polemica che scuote l’ebraismo italiano da qualche settimana si alimenta a suon di immagini. Per completare il panorama aggiungerei alla collezione iconografica il “vaso di Pandora” de-sigillato da Guido Vitale e scoperchiato da Rav Punturello.
Certo l’animosità interna non manca. È davvero utile? Litigare all’interno di un ambiente così piccolo in una fase di crescente intolleranza generale può essere dannoso in prima istanza per noi e alla lunga anche per la nostra immagine. D’altra parte, il dibattito su problemi reali che finalmente emergono, il chiarimento di posizioni differenti disposte a confrontarsi sono elementi indispensabili per cambiare e migliorare. Le questioni in discussione sono importanti e varie.
Il rapporto e l’apertura di un dialogo con l’ebraismo riformato ne è solo un aspetto, e a mio giudizio non quello fondamentale per l’ebraismo italiano; anche se certo è la dimensione più appariscente, quella capace di suscitare le maggiori incomprensioni e i più evidenti contrasti. Al riguardo, credo che il comprensibile e condivisibile rifiuto dell’ebraismo ortodosso rispetto alla richiesta dei reformed di entrare nell’UCEI (rappresentativa dell’ortodossia) non debba però tradursi nel rigetto di ogni contatto e dialogo su un piano di parità: se si è giustamente convinti delle proprie buone ragioni halakhiche ortodosse, non si ha certo da temere un confronto anche pubblico con chi sostiene un ebraismo “diverso”, che a molti ortodossi può apparire del tutto alieno ma che di fatto esiste e ha diritto di esprimersi. In ogni caso, il nodo del rapporto con la riforma sta già venendo al pettine e andrà in qualche modo sciolto.
Ma, ripeto, non è questo l’argomento essenziale. Il vero problema dell’ebraismo italiano è di natura interna. Le iniziative di studio, di approfondimento, di diffusione della conoscenza storica e artistica promosse a livello nazionale ed europeo dalle nostre istituzioni comunitarie e da strutture museali e di ricerca di caratura internazionale (Meis, Fbcei, Cdec e varie altre) lanciano giustamente all’esterno l’immagine di una vicenda non comune e di una straordinaria vivacità culturale. All’interno del nostro mondo la situazione è di fatto più incerta e problematica, e riflette quella che senza voler drammatizzare potremmo definire una crisi di identità. Getto un rapido sguardo su quattro aspetti che mi paiono degni di attenzione.
Le organizzazioni giovanili sono molto attive e in vari ambiti realizzano attività interessanti; ma si ha l’impressione che dal centro non siano valorizzate e incoraggiate a sufficienza. Un progetto unitario di formazione e di rafforzamento dell’identità, lasciato nell’insieme a una gestione autonoma da parte ragazzi nelle varie fasce di età, potrebbe contribuire a dare nuova linfa, slancio, consapevolezza all’ebraismo italiano.
Lo sviluppo di una valida conoscenza di base e di una effettiva consapevolezza/coscienza ebraica per tutti gli ebrei italiani, anche oltre i gruppi giovanili, non può non essere un obiettivo centrale per l’istituzione ebraica nazionale. Il progetto Fondamenti di Ebraismo lanciato un paio di anni fa, per quanto suscettibile di una maggiore diffusione sembrava dare una risposta adeguata a questa esigenza primaria. L’entusiasmo con cui l’iniziativa è partita mi pare però essersi perso per strada, e di una simile preziosa occasione di confronto con i maggiori maestri dell’ebraismo italiano almeno a Torino da vari mesi non si è quasi più sentito parlare.
Ugualmente indispensabile a livello nazionale mi pare un percorso di studio e di pratica della lingua ebraica. Perché non dare vita a un progetto complessivo di conoscenza/lettura/conversazione, avvalendosi magari delle potenzialità offerte dalle moderne tecnologie informatiche? Credo che la perdita progressiva di consapevolezza culturale e linguistica costituisca l’elemento basilare di quella che poco sopra ho chiamato crisi di identità. Il deficit culturale/linguistico, se trascurato, non può che aggravarsi e col tempo portare verso una effettiva perdita di identità, questa sì davvero drammatica.
Infine, il referente principale di questa triplice prospettiva: le piccole Comunità. Sono esse il vero punto di rischio per l’ebraismo italiano; è lì, e non a Roma e a Milano, che le collettività ebraiche sono in pericolo di effettiva sussistenza, a livello di presenza fisica, di osservanza delle mitzwot, di possibilità culturali. E’ lì dunque che è ormai indispensabile concentrare gli sforzi e fornire servizi per rendere realmente praticabile una vita ebraica: presenza effettiva di Rabbini disposti a svolgere il proprio compito in loco, strutture per rendere concretamente praticabile la Kasherut e il rispetto degli altri precetti, servizi culturali di formazione/informazione commisurati alle singole realtà locali.
Credo sia indispensabile, in ogni caso, superare il piano della singolar tenzone e la sfida a duello di queste settimane. Per essere costruttivi mi pare invece fondamentale, nei settori vitali che ho voluto evidenziare come nei tanti altri gangli del nostro essere ebrei in Italia oggi, andare oltre le polemiche e le reciproche accuse – sempre inutili – facendo dei rilievi critici – spesso salutari – uno strumento di analisi, di correzione, di intervento. Se riuscissimo a trasformare le forti rivalità che animano l’ebraismo italiano in spirito di collaborazione sostanziato da prospettive differenti (e proprio per questo più ricco e variegato), avremmo buone probabilità di salvare, forse anche di incrementare la nostra grande tradizione.
David Sorani