La politica delle trattative
Le trattative, si sa, non hanno regole. Troppe le variabili, a cominciare dal profilo dei due contraenti, dai caratteri dei soggetti, dal momento in cui si tratta. Insomma, ciò che vale in un caso non è detto che valga anche in un altro. Il modo di trattare di Donald Trump ormai lo conosciamo bene. È quello tipico dell’imprenditore: sparare 100 per ottenere 10. Non ne ho esperienza, ma questo potrà forse andare bene se si devono trattare terreni dove costruire resort e grandi alberghi; nel campo politico, dove si agitano passioni di ogni tipo, rischia di essere assai semplicistico. Dopo lo stallo con la Cina che sta portando ad una sempre meno silente guerra commerciale (scontro, tra l’altro, che ha delle sue validissime ragioni), ora è il turno dell’Iran. L’accordo di Obama nasceva anche dalla constatazione del fallimento di decenni di emergo, che, anzi, avevano finito col rinsaldare il regime, regalandogli la carta del complotto del mondo contro il popolo iraniano. Del resto, la storia iraniana è storia di orgoglio patriottico, di vocazione imperiale, di percezione di sé come grande potenza. Il rischio dell’isolamento era, secondo l’ex inquilino della Casa bianca, che il regime degli Ayatollah sfuggisse ad ogni controllo e si dirigesse spedito verso la bomba atomica. Le cronache di questi giorni sembrano confermare queste paure. Per ora siamo ancora nell’ambito delle trattative, ma le trattative, si sa, possono anche sfuggire di mano.
Davide Assael