Periscopio – De hominis dignitate
La bioetica, com’è noto, rappresenta un terreno di discussione e confronto di sempre crescente importanza, sul quale vengono affrontati molti dei temi cruciali dei tempi odierni e di quelli futuri, alle cui possibili soluzioni il destino del genere umano e dell’intero pianeta appare strettamente legato: il rapporto tra l’uomo e la natura, i drammatici problemi della sovrappopolazione mondiale e del costante innalzamento dell’età media (che, più che un allungamento della vita, è in realtà un allungamento della vecchiaia), la tutela dell’ambiente, i doveri verso le generazioni passate e quelle future, la protezioni degli animali non umani, i limiti alle possibilità di intervento sul corpo umano, la distinzione tra i confini della ricerca teorica e quelli della tecnica operativa, la difesa della vita umana nei momenti del suo inizio e della sua fine ecc. E, soprattutto, la definizione di quella parola così difficile, controversa, polisensa, eppure così essenziale e ineludibile, che è ‘dignità’. Dignità dell’uomo, ma anche di tutte le creature senzienti, nonché, forse, dell’intero creato. Chiunque, di fronte a una qualsiasi delle tante “tragic choices” che segnano, sempre di più, i nostri giorni (staccare o non staccare la spina? lasciare vivere o lasciare morire? concedere libertà di scelta o imporre una decisione dello Stato?), propenderà per una o l’altra delle possibili opzioni, contrapponendosi così frontalmente a chi sosterrà il contrario, non potrà non farlo, in ogni caso, in nome della parola ‘dignità’. La quale, quindi, non potrà certo condurre automaticamente a una soluzione ‘certificata’ (sarebbe anche pericoloso il pensarlo), ma assicurerà che la difficile ricerca di una soluzione sia fatta non secondo un interesse particolare o un’idea momentanea, ma nel solco di quel millenario percorso di ricerca chiamato a decifrare, appunto, il senso della dignità dell’uomo.
Un percorso, com’è noto, al quale, da sempre, l’ebraismo dà un contributo di straordinaria importanza, apprezzato in tutto il mondo. Millenni prima che venisse inventata la parola “bioethics”, e che la scienza realizzasse i prodigiosi progressi degli ultimi decenni, già il Talmud offriva delle riflessioni di eccezionale profondità, tenute presenti come precedenti da molti comitati etici del mondo, anche in ambienti non ebraici, e non è certo un caso se, tra i massimi bioeticisti contemporanei, la percentuale di studiosi ebrei e di rabbini è estremamente più alta dell’esigua percentuale della popolazione ebraica mondiale (mi sia consentito di nominare soltanto quattro nomi, scusandomi per i tantissimi che devo omettere: Gianfranco Di Segni, Riccardo Di Segni, Alfredo Mordechai Rabello, Avraham Steinberg).
È con grande soddisfazione e orgoglio che segnalo quindi la pubblicazione, avvenuta pochi giorni fa, per i tipi dell’Editore Mimesis di Milano, di una raccolta di scritti (intitolata, appunto, De hominis dignitate) del mio Maestro, Francesco Paolo Casavola (tra i massimi storici e giuristi del mondo, già Giudice e poi Presidente della Corte Costituzionale, a lungo Presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, dove chiamò come suo Vice proprio Rav Riccardo Di Segni, a cui lo lega un profondo sodalizio umano e culturale), promossa dal CIRB (Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica), curata da me e da Lorenzo Chieffi, che riunisce alcuni tra i suoi più significativi interventi in tema di bioetica: contributi che, pronunciati e pubblicati, in diversi anni, in varie sedi, richiedevano necessariamente – per il loro altissimo livello di interesse e attualità, oltre che per il loro comune collegamento di fondo – di essere riuniti, e proposti, in chiave unitaria, a un più largo pubblico.
Tali scritti appaiono legati da uno stretto filo di continuità con la ricerca antichistica del Maestro (che ha dato corpo, com’è noto, a una produzione scientifica imponente, universalmente conosciuta e ammirata). Il Casavola bioeticista fa tutt’uno con il Casavola storico, così come con il Casavola giurista, essendo sempre sottesa, a ogni suo pensiero, ogni sua riflessione, una stessa interrogazione di fondo, che è quella del modo in cui, nei vari luoghi e nei vari tempi, gli uomini debbano, vogliano, possano giovare, o nuocere, gli uni agli altri, nonché al creato che li ospita. Perché, se la parola ‘bioetica’, è di origine recente, i problemi che essa evoca – relativi alla peculiare posizione dell’uomo nella natura, e al modo in cui egli debba o possa incidere sul suo corso – sono nati con l’uomo stesso. Anzi, come spiega il Professore, in quel misterioso momento, nell’antichità “senza data”, in cui l’uomo è passato dalla natura alla cultura, dal bios all’ ethos, iniziando, così, un irreversibile nuovo cammino.
Ha significato, quel momento, un’elezione, o una maledizione? Questa domanda era ben presente a Pico della Mirandola, quando, nel 1486, scrisse la sua orazione De hominis dignitate: un breve, straordinario testo, tanto importante per Casavola, e da lui fatto oggetto di così acuta analisi, da avere suggerito di adoperarne il titolo come intitolazione della raccolta. Il Creatore, racconta Pico, ordinò ad Adamo di realizzare la propria missione definendo la natura e il senso di tutte le cose del mondo. Ma solo lui, l’uomo, non avrebbe avuto una natura predefinita, perché sarebbe stato lui stesso a plasmarla e determinarla con le sue proprie mani: “non ti ho fatto del tutto né celeste né terreno, né mortale né immortale, affinché tu possa plasmarti, libero artefice di te stesso, conforme a quel modello che ti sembrerà migliore. Potrai degenerare sino alle cose inferiori, i bruti, e potrai rigenerarti, se vuoi, sino alle creature superne, le divine”.
Le pagine di Casavola rappresentano un’investigazione luminosa, profonda, sofferta, talora dolorosa su quale sia, sia stata, possa e debba essere, oggi, ieri, domani, la scelta di Adamo, e quale il senso e la direzione del cammino dell’uomo. Un messaggio tanto più prezioso in tempi, quali quelli odierni, in cui non solo la dignità dell’uomo pare continuamente vilipesa, nell’indifferenza generale, ma in cui la stessa riflessione sul significato di tale concetto sembra essere ormai considerata un’inutile perdita di tempo.
Francesco Lucrezi, storico