Italia ebraica, la storia ricamata dalle donne
“Siamo partiti da una domanda: le donne ebree italiane si limitavano alla cura, seppur importante, della casa e dei figli o avevano altri compiti? La risposta è che c’è di più: come la trama di un tessuto, il ruolo della donna nell’ebraismo italiano si muove in diverse direzioni”. Da questo spunto è nata l’esposizione inaugurata al Museo U. Nahon di Arte Ebraica Italiana a Gerusalemme, intitolata “Trama e Ordito”, curata da Anastazja Buttitta. È lei a spiegare a Pagine Ebraiche il significato della mostra, ideata volutamente come un “omaggio all’esposizione in corso agli Uffizi di Firenze (Tutti i colori dell’Italia ebraica) e alla mia mentore Dora Liscia Bemporad”. Attraverso preziosi tessuti della collezione del Museo Nahon, datati tra il XVI e XX secolo, viene raccontato il ruolo complesso della donna all’interno della società ebraica italiana. “La collezione del Museo può vantare 220 tessuti, rituali e non, che vanno dal 1500 al dopoguerra. Molti non erano datati e con l’aiuto di Dora Liscia Bemporad e Doretta Davanzo Poli stiamo completando questo lavoro. Da qui siamo partiti per costruire la mostra – spiega la curatrice – che fa riferimento a due filoni fondamentali dell’arte ebraica: il Hiddur Mitzvot (glorificare Dio e i comandamenti della Bibbia attraverso bellissimi oggetti rituali) e il la’alot bakodesh, l’elevazione a santità di elementi di tessuti mondani”. In questo caso sono esposti – nella sezione “Il tessuto ‘riciclato’, da oggetto mondano a oggetto sacro usato nella cerimonia”- meilim (tessuti con i quali si rivestono i Sifrei Torah) e parokhot (le tende poste davanti all’Aron Ha Kodesh) firmati da donne ebree italiane, che riutilizzavano ed elevavano appunto tessuti mondani a usi sacri. “In periodi di esclusione e inaccessibilità a libere professioni, agli ebrei italiani restarono poche possibilità di commercio. – scrive nella presentazione della mostra Jack Arbib, presidente del Museo Nahon – Una attività principale e diffusa fu quella dei cenciaioli, umili raccoglitori e venditori di pezze di panni. Questa manipolazione di stracci (shmates) si evolse in una raffinata maestria. Attraverso la trasformazione veniva donata a queste pezze una nuova e preziosa nobiltà”. E in questo restituire nuova vita ai tessuti le donne ebbero un ruolo fondamentale. “Una peculiare della realtà ebraica italiana – spiega Buttitta – Le donne a Venezia, Mantova, Firenze, come in altre parti della penisola, lavoravano in casa dando un apporto fondamentale all’economia famigliare. Non solo, questo tipo di occupazione permetteva che le donne avessero a disposizione volumi con modelli di merletto provenienti da tutta Europa e dimostra come sapessero leggere, fare di conto” e avevano quindi un’educazione significativa per l’epoca. La loro abilità, ricorda Arbib, fu raccontata anche dallo storico tedesco Ferdinand Gregorovious, che nella sua opera “Passeggiate per l’Italia” così descriveva il lavorio delle donne del Ghetto di Roma nel 1853: “Le figlie di Sion seggono ora sopra tutti que’ cenci; cuciono, rammendano tutto quanto si può ancora rammendare. Sono somme nell’arte del cucire,del ricamare, del rappezzare, del rammendare; non c’è alcuno strappo, in una drapperia, in una stoffa, per quanto grande esso sia, che queste Aracni non riescano a fare scomparire, senza che più ne rimanga traccia.”
Tornando alla mostra, cinque le sezioni in cui si articola: “Ruolo della donna nell’ebraismo italiano”, “Tessuti rituali”, “Tessuti della sposa, moglie e madre”, “La donna in carriera: pizzo e ricamo”, “Il tessuto ‘riciclato’, da oggetto mondano a oggetto sacro usato nella cerimonia”. Alcuni dei tessuti non sono mai stati esposti prima mentre alcuni pezzi importanti sono stati appena restaurati. Tra questi il famoso Parokhet Tedeschi, datato al 1572, proveniente da Venezia e considerato dagli studiosi uno tra i più antichi e interessanti tessili trasformati in oggetti cerimoniali ebraici. Ma ci sono anche ketubboth (contratti matrimoniali), una Meghillat Esther così come tessuti da sposa tramandati di generazione in generazione dalle famiglie ebraiche, accompagnati in alcuni casi da fotografie di matrimoni. L’idea dell’esposizione (aperta fino all’autunno), spiega Buttitta, è raccontare attraverso i tessuti il ruolo della donna, il suo essere protagonista nella storia ebraica, “certo senza nascondere il fatto che dovesse confrontarsi con una società patriarcale”. La speranza inoltre, si legge nello scritto di Jack Arbib, è che “questa mostra possa anche essere fonte di ispirazione. In tempi nei quali in tutto il mondo le nostre società sono lacerate da divisioni, dalla incapacità di vedere la dignità degli altri, io spero che noi tutti potremo sapere rammendare gli strappi nel nostro tessuto sociale, riannodando trama e ordito, divenendo una nazione di tessuto”.
Daniel Reichel
(Nelle immagini: In alto, Aron di Mantova, 1543. In basso, Parokhet Olivetti Montefiore, Pesaro, 1620, ricamato da Rachel Olivetti )