Pagine Ebraiche – Laicità imperfetta
Da molte parti si sente affermare quanto sia laica la nostra Costituzione: ne siamo proprio certi? In realtà, nella nostra legge fondamentale il concetto di “laicità” non compare neanche una volta; è vero invece che la Costituzione italiana conferisce valore costituzionale alle confessioni religiose e afferma principi di salvaguardia della libertà religiosa individuale e collettiva (artt. 7, 8 e 19). È la Corte costituzionale ad aver ricavato il principio di laicità: con la nota sentenza n. 203 del 1989 la laicità è stata definita “principio supremo” dello Stato repubblicano.
L’Italia è allora in senso improprio uno Stato laico: si parla comunemente di “laicità all’italiana”, che non significa indifferenza nei confronti della religione, ma che al contrario assicura uguale tutela del sentimento religioso, indipendentemente dalla confessione che lo esprime; a differenza di quella francese, ad esempio, che consiste in una pressoché totale sterilizzazione della sfera pubblica rispetto alla presenza delle religioni. Ma cosa significa laicità? Dal momento che questo termine è utilizzato talvolta a sproposito, occorre intendersi sul suo significato: laico deriva dal greco laikòs, che è aggettivo di laòs = popolo e significa quindi “del popolo”, “comune”; si tratta dunque di uno status ordinario, comune a tutte le persone, non di una condizione particolare.
Chi vive in Italia sa bene quanti settori della vita pubblica siano fortemente condizionati da una “impronta religiosa” di matrice cattolica.
Penso anzitutto al campo dell’istruzione (con l’ora di indottrinamento cattolico in tutte le scuole, sistemata nel bel mezzo dell’orario curriculare), ma più in generale alla presenza di crocifissi nei luoghi pubblici (“il simbolo, pur certamente religioso, assume nel suo valore polisemico un carattere costitutivo dell’identità nazionale, anche perché la tradizione cattolica e più variamente quelle cristiane incorporano un’idea di laicità e contribuiscono a definire il complesso spessore ideale della nazione”: TAR del Lazio, decisione 1110/2005), alla presenza di obiettori di coscienza nella sanità, all’esenzione fiscale per le proprietà del Vaticano e poi a tutto ciò che attiene alla salute ed a temi eticamente sensibili: bioetica, matrimonio, problemi legati alla procreazione ed alla fine vita. In un Paese come il nostro in cui la laicità non sembra sia proprio radicata nel sentimento comune (si pensi solo che non abbiamo più alcun partito che porti avanti questa bandiera), oggi tanto nella vita quotidiana quanto nella legislazione assistiamo ad alcuni fenomeni che destano seria preoccupazione: proposte di legge che tendono a vietare o limitare macellazione rituale o milà e dunque impedire l’osservanza di precetti religiosi, come purtroppo è già successo in altri Paesi
europei. Se da un lato sembrano rispondere a logiche politiche che puntano a strumentalizzare il fenomeno dell’immigrazione, dall’altro si pongono in evidente contrasto con l’Intesa sottoscritta il 27 febbraio del 1987 tra lo Stato Italiano e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, recepita dalla Legge n.101/1989.
Preoccupa oggi che un giornalista sensibile e colto come Corrado Augias abbia definito inopportuno il crocefisso “esibito” da una conduttrice di un telegiornale e la kippah indossata dal maestro Daniel Oren quando dirige, ponendo sullo stesso piano un precetto religioso e una libera scelta di una giornalista. Preoccupa quindi che anche Paesi tradizionalmente aperti all’integrazione e all’immigrazione abbiano sentito l’esigenza di introdurre alcuni vincoli alla propria legislazione: è il caso del Quebec, stato canadese che oggi vieta ai funzionari pubblici di esibire simboli e indumenti religiosi. Come ha detto il Gran Rabbino di Francia (ma anche la nostra Corte costituzionale): “Compito della laicità non è costruire degli spazi svuotati dal religioso, ma offrire uno spazio in cui tutti, credenti e non credenti, possono trattare di ciò che è accettabile e di ciò che non lo è”.
Davide Jona Falco, Consigliere UCEI