“Ci vogliono gli argani per scuotere il Rabbinato italiano!”
Ho seguito con attenzione e anche con curiosità quello che si è andato via via scrivendo su queste colonne (e pure su colonne meno strutturate) riguardo ai rabbini di oggi. Senza aver nessuna pretesa di ‘fare storia’ né di dare lezioni a nessuno, può essere utile andarsi a leggere i maggiori giornali ebraici di oltre cent’anni fa, il Corriere israelitico (con sede a Trieste, diretto dal rabbino Dante Lattes e da suo cognato Riccardo Curiel) e il Vessillo israelitico (diretto dal rabbino Flaminio Servi a cui succedette il figlio Ferruccio, con sede a Casale Monferrato). Entrambi i giornali (e altri) sono accessibili tramite il sito del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea.
Una questione che animò il rabbinato italiano a fine Ottocento e inizio Novecento fu la proposta di indire un convegno nazionale di tutti i rabbini per risolvere alcuni problemi che sembrava importante affrontare. Non era la prima volta. Era stato già tentato nel 1884, senza successo, su proposta del Rabbino Ghiron tramite le pagine del Vessillo israelitico. La seconda volta, nel febbraio del 1905, l’iniziativa fu promossa dal rabbino di origine triestina Vittorio Castiglioni, da un paio d’anni nominato rabbino capo di Roma, ed era sostenuta principalmente dal Corriere israelitico, forse grazie alla conoscenza diretta che la redazione del giornale triestino aveva con Castiglioni. Lo scopo era sia di far conoscere i Rabbini gli uni con gli altri e far cessare “quell’isolamento austero che oggi si lamenta” sia di arrivare a soluzioni condivise sui diversi problemi in discussione. Si volevano unificare gli usi delle diverse comunità, affinché fosse “tolto lo scandalo che quanto qui è lecito là sia proibito”. Fu aperto un referendum, in cui si chiedeva che ogni rabbino si esprimesse in relazione all’iniziativa e agli argomenti da trattare. Diversi rabbini intervennero. A favore del convegno erano i rabbini D. Camerini di Parma (“sono lieto che l’iniziativa sia stata presa dal Castiglioni, il cui nome è garanzia di serietà”), G. Bolaffio di Torino, I. Levi di Mantova. Perplessità sull’utilità e opportunità del convegno furono espresse invece dai rabbini M. Coen Porto di Venezia, C. Foà di Soragna, A. Orvieto di Bologna, G. Jarè di Ferrara e A. Da Fano di Milano, che stimava ormai inutile parlarne, benché fosse in linea di principio favorevole, perché “alcuni dei primi Rabbini d’Italia lo avversano”. Il rabbino G. Cammeo da Modena intervenne con una dettagliata risposta in cui elencava tutti gli argomenti che secondo lui andavano trattati, come “il modo di rialzare la fede tanto scossa”, i mezzi per “estendere lo studio della Torà, incoraggiare la diffusione di buoni libri e di buoni giornali israelitici” e per rafforzare la predicazione e l’istruzione femminile. Fra i riti, consigliava che si affrontasse il problema della cremazione e del seppellimento dei liberi pensatori, il problema dei figli nati da genitori ebrei ma non circoncisi, ossia “se sono da considerarsi israeliti o no”, quello dell’illuminazione elettrica nelle sinagoghe; Cammeo suggeriva addirittura di discutere il problema della “abolizione o conservazione del Menhil del Sefer Torà, o se sia meglio usare tutti il Tic” (il primo è il manto che avvolge il Sefer Torà, in uso presso le comunità europee; il secondo è una custodia rigida in uso presso le comunità sefardite orientali e nord-africane). Altri argomenti in discussione sarebbero dovuti essere la maggiorità religiosa dei maschi e delle femmine, i “cori di femmine nei sacri Oratori”, il matrimonio fra “una israelita con un nato da genitori ebrei ma non circonciso”, il sionismo, i titoli rabbinici e “la dignità dei rabbini riguardo a certi concorsi per cattedre rabbiniche con stipendi illusori”. Concludeva auspicando che la sede fosse Ancona “per rispetto al venerato Maestro decano del Rabbinato italiano”. Peccato che il venerato maestro, I.R. Tedeschi, avesse già manifestato le proprie perplessità riguardo al convegno dicendo “francamente che io lo giudico incompetente […]. Un Congresso sarebbe quindi inutile e potrebbe essere pericoloso”. Il referendum fu esteso alle “personalità laiche più notevoli del Giudaismo italiano” e anche in questo caso arrivarono numerose risposte. L’Avv. Gino Racah, da Milano, scrisse fra l’altro che “per ciò che riguarda i riti nessuna innovazione dovrebbe essere fatta. I riti maggiori devono essere identici in tutto il mondo; quanto alle quisquiglie che vedo accennate in alcune risposte sull’ultimo fascicolo del Corriere non interessano affatto. Una questione di tich e di megnil a questi lumi di luna e coi bisogni urgenti e capitali non avrebbe altro risultato che di far perdere tempo”.
Dante Lattes, a commento dell’inchiesta da lui indetta per conto del Corriere, commentò che le risposte arrivate davano già un’idea dei possibili risultati dell’eventuale convegno, che in generale non era stato accolto da un entusiasmo eccessivo, quantunque fosse stato discusso con serenità. In un lungo e appassionato intervento, Lattes auspicava che i rabbini allargassero il proprio campo di interessi: “Il mondo e la scienza corrono verso il futuro con voli altissimi, a cui il Rabbino italiano tien dietro solo con gli occhi, non colle sue ali: le dure necessità della vita lo inchiodano sulla terra, mentre fuori dell’Alpi il pensiero israelitico batte ancora le sue vie gloriose per tener dietro con onore a questo volo umano”. Alla fine il convegno non si fece. Il disaccordo fra il rabbino capo di Roma, Castiglioni, che era il promotore dell’iniziativa, e Samuel Margulies, rabbino capo di Firenze e Direttore del Collegio rabbinico italiano, che era la personalità più illustre del rabbinato italiano dell’epoca, portò al fallimento dell’iniziativa. Il Vessillo, che peraltro appoggiava Castiglioni, così commentò: “Ci vogliono gli argani per scuotere il Rabbinato italiano!” e “Si sono incontrate difficoltà per ottenere l’accordo desiderato tra i Rabbini italiani che non sanno tutti dimenticare i meschini astii personali e le stolide bramosie di preminenza, assurgendo a concetti più elevati”.
Gianfranco Di Segni, Collegio rabbinico italiano
(Le referenze delle citazioni si possono trovare nell’articolo completo da cui questo brano è tratto, alle pp. 150-153: D.G. Di Segni, La cultura del Rabbinato italiano, La Rassegna Mensile di Israel, Vol. 76, No. 1/2 (genn.-ago. 2010), pp. 123-184)