Amoralità

claudio vercelliComunque le si valuti, rispetto alla loro funzionalità e veridicità, le prove Invalsi testimoniano di un trend che è in atto oramai da diverso tempo nel nostro Paese. Partendo dalla constatazione che una parte crescente di giovani, in età scolare, rivela preoccupanti incompetenze logiche – prima ancora che “culturali”, rispetto alla comprensione di testi e di codici espressivi che dovrebbero invece essere di comune dominio e uso – per estensione si fa in fretta ad arrivare, riscontri empirici alla mano, che in realtà sia una robusta parte della società a scontare quella che viene definita “ipocognitività”. Una di quelle parole che i “professoroni” usano per definire la condizione di incapacità di usare il linguaggio comune e, soprattutto, di coglierne i significati condivisi. Non è un esclusivo problema che sia ascrivibile alle aule scolastiche. Né si tratta del risultato di una mera carenza formativa. Semmai è il prodotto di una dealfabetizzazione funzionale e civile in una Italia dove i processi di diffusione non della “cultura” bensì delle competenze e delle cognizioni elementari, hanno spesso incontrato ostacoli insormontabili, anche in tempi migliori di quelli che stiamo vivendo. Comprendere è da sempre un atto di potere. Non comprendere, non capire sono invece la condizione di chi viene consegnato alla schiavitù. Poiché esiste un nesso diretto, immediato tra la capacità critica e il pluralismo sociale, due elementi senza i quali le democrazie liberali e sociali sono destinate a perire, se non altro per progressiva consunzione. Come certuni, oggi, peraltro apertamente caldeggiano. Aleggia infattiun venticello sgradevole, che porta con sé il lezzo nauseobondo della decomposizione della libertà, trasformata in licenza di fare quello che si vuole quando, nei fatti, si può fare poco se non nulla in assenza di diritti, di giustizia, di tutele collettive. L’incapacità di comprendere le cose; l’indisponibilità che diventa intolleranza verso la complessità della vita quotidiana, nelle relazioni con la società circostante; lo sciacciamento su una sorta di presente eterno; la prevaricazione esibita come autoaffermazione; l’insensibilità che si trasforma in compiaciuta inumanità per poi sposarsi allo schematismo ideologico, e cos’altro ancora, non sono solo gravi infrazioni al codice morale di reciprocità ma anche deficit crescenti di democrazia. Poiché precorrono o annunciano nuove schiavitù. Allo schiavo, d’altro canto, si dice sempre che la sua condizione deve essere intesa come “naturale” (ossia dettata da un immutabile stato delle cose, che deriverebbe dall’ordine incontrovertibile della società) e, al medesimo tempo, per lui più che accettabile. Magari favoleggiandogli paradisi futuri, per rendergli le catene un po’ meno pesanti. Soprattutto, per raccontargli la favola che quelle catene che gli stanno progressivamente divorando i polsi e le caviglie, sono invece ciò che lo tengono legato alla terra, evitandogli il rischio di volare nell’aria come un insignificante granello di polvere. Esiste forse un migliore strumento di occultamento dell’ingiusto potere di quello che incute costantemente nel subordinato il senso dell’angoscia, imponendogli continui atti di sudditanza, anche e soprattutto contro i suoi stessi interessi vitali? Il declino delle democrazie si alimenta di un sistema molto articolato di finzioni (fake news e storytelling, ossia rappresentazioni continuamente intercambiabili, al posto dei fatti), di collusioni, di connivenze e di convenienze. Non è solo il prodotto di cattive élite ma di collettività sempre più ripiegate su di sé, impaurtite come anche inibite, perennemente “indignate” ma anche impotenti, che nel mentre si perdono nel labirinto di inesistenti “democrazie dirette”, nei fatti stanno consegnando la loro autonomia ad una delega totale, insindacabile, senza revoca. Quella della democratura, dei regimi oligarchici che ci vengono a dire che non è più tempo di liberalismo. Soprattutto, che non c’è più bisogno della libertà vera, quella che si accompagna alla responsabilità. Questa è l’autentica cifra dell’amoralità che stiamo attraversando: la sospensione della responsabilità civile, gabellata per virtù quando, invece, è la patologia delle società complesse e stratificate.

Claudio Vercelli

(14 luglio 2019)