Uno Stato ebraico e democratico
Il tema del rapporto tra religione e Stato è tornato di grande attualità in Israele. Con ogni probabilità sarà l’argomento caldo della campagna elettorale che accompagnerà il paese alle elezioni del 17 settembre, almeno così auspica Avigdor Lieberman, leader del partito laico e nazionalista Israel Beitenu. Lieberman spera di allargare la sua base elettorale, presentandosi come il campione del mondo hiloni, ovvero del mondo laico israeliano, in contrapposizione con i partiti religiosi o meglio haredi. Lieberman ha dichiarato di essere “a favore di uno Stato ebraico, ma contro il fatto che lo Stato sia governato secondo la Halakhah (legge ebraica)”. Non c’è però una definizione unanime di cosa significhi quello “Stato ebraico” accompagnato dal suo essere democratico. “A mio avviso, ma è solo la mia opinione e non la verità dal Sinai – spiega Zvi Zohar, docente di Etica all’Università Bar Ilan – per Israele essere uno Stato democratico ed ebraico significa: prima di tutto che tutti i cittadini e tutti gli individui che vivono qui hanno stessi diritti di fronte alla legge, libertà di professare la propria religione, libertà di movimento… insomma i diritti che ogni democrazia garantisce senza fare discriminazioni. Le minoranze linguistiche come gli arabi d’Israele devono avere, e infatti hanno, la possibilità di avere scuole in cui si insegna la loro lingua e la loro cultura”. Per quanto riguarda il carattere ebraico dello Stato per Zohar “rappresenta il principio per cui la nazione degli ebrei, Am Israel, ha il diritto all’autodeterminazione”. Sul ruolo che la legge ebraica ha all’interno dello Stato, Zohar spiega che ci sono due differenti risposte a questo quesito: “Uno sul fronte legale, rispetto al quale Israele ha proseguito il quadro legislativo costituitosi sotto l’Impero ottomano: fino a metà 800 aveva solo corti che seguivano la legge islamica, poi furono introdotte nel mezzo del secolo una serie di riforme con la creazione di tribunali laici. Alle corti islamiche e religiose rimase giurisdizione sul diritto di famiglia (matrimonio, divorzi, eredità). Quando l’Impero britannico conquistò l’area, mantenne questo sistema e così fece Israele nel 1948: così ebrei, musulmani, cristiani, baahai, possono solo sposarsi e divorziare secondo le regole delle rispettive religioni e questo crea evidentemente grandi problemi per i laici, per chi non si riconosce in nessuna religione”. Per questo, sottolinea il docente, tantissimi israeliani sono favorevoli all’istituzione nel paese del matrimonio civile. Tra chi si oppone a questa innovazione, il mondo haredi – che rappresenta una nutrita minoranza all’interno del paese, circa il 20 per cento della popolazione – che ha grande influenza sul rabbinato centrale d’Israele. Quest’ultimo, afferma Zohar, ha ereditato una tradizione halakhica basata sull’idea che “il nuovo è vietato dalla Torah”. Questa posizione, scrive il docente della Bar Ilan nel suo The Luminous Face of the East: Studies in the Legal and Religious Thought of Sephardic Rabbis in the Middle East (Bloomsbury Academic), è stata assunta per la prima volta nell’Europa centrale, all’inizio del XIX secolo, nel contesto della disputa nata con l’Illuminismo ebraico e il movimento della Riforma. In seguito, secondo l’autore, questo approccio divenne di applicazione comune tra i rabbini ashkenaziti sia in Europa che in Israele. Zohar dimostra, come ricordava anche un recensione su Haaretz, che la situazione era completamente diversa tra gli ebrei sefarditi e invita a riscoprire alcune figure tra cui rav Ben-Zion Uziel, rabbino capo sefardita, morto nel 1953. “Nei primi giorni successivi all’istituzione dello Stato, sorse una questione relativa allo status della Halakhah rispetto alla legislazione della Knesset – ricorda Haaretz facendo riferimento al lavoro di Zohar – Tra i colleghi del rabbino Uziel, l’opinione prevalente era che lo status delle leggi della Knesset fosse inferiore alle norme della Torah, perché il principio halakhico che sostiene che ‘le leggi del regno sono la Legge’ si applica specificamente ai regimi non ebraici. Ma il rabbino Uziel lavorò duramente per stabilire che lo status della Knesset ha una base superiore, quella dell’autonomia comunitaria ebraica. La legge ebraica riconosce l’autorità halakhica delle decisioni dei leader laici nella loro qualità di legislatori, senza mettere in relazione il livello della loro osservanza religiosa personale”. Per Zohar recuperare questi insegnamenti, che raccontano di un rapporto meno conflittuale tra religione e Stato, potrebbero aiutare a superare la divisione in compartimenti della società israeliani: haredi, nazional-religiosi, laici, arabi, hanno punti di contatto ma vivono per lo più in bolle separate, come denunciato più volte anche dal Presidente d’Israele Reuven Rivlin.
Daniel Reichel
Pagine Ebraiche luglio 2019 – Dossier Laicità
(14 luglio 2019)