Una app per salvare la vita

Viviana KasamA volte dalle tragedie nascono idee che contribuiscono al benessere dell’umanità. Fu così per la Croce Rossa: sotto choc alla vista dei morti sul campo di battaglia di Solferino, il filantropo svizzero Henry Dunant, impressionato dall’impotenza e dalla disorganizzazione dei soccorsi, ebbe l’idea di fondare la Croce Rossa Internazionale.
Il dramma dei tre adolescenti israeliani rapiti e uccisi nel 2014 ha ispirato Amos Kostas a fondare una community di Crime Tech Innovators: la Israel Crime Scene Innovation, dalle quale è nata SayVu (si pronuncia save you, ovvero ti salvo) una app dalla tecnologia rivoluzionaria, concepita per essere utilizzata dai servizi di emergenza, ma anche da aziende, istituzioni accademiche e imprese per migliorare la sicurezza dei civili e dei lavoratori.
SayVu consente di mandare un segnale di allarme da uno smartphone solo scuotendolo, senza la necessità di piazzare una chiamata, che spesso in una situazione di emergenza è impraticabile. Lo scuotimento attiva un processo che registra e trascrive la voce dell’utente, utilizzando un algoritmo che determina l’emergenza sulla base di ciò che viene detto, ma anche del tono della voce. La registrazione viene inviata automaticamente alle autorità e ai servizi di emergenza più vicini grazie alla geolocalizzazione.
La app può anche intervenire quando constata qualcosa di inusuale nell’attività quotidiana dell’utente. A quel punto invia un sms e, in caso di mancata risposta, parte un segnale di pericolo alle autorità circostanti.
L’idea, spiega Kostas, è nata dalla dinamica dal fallimento dei soccorsi ai tre ragazzi rapiti, che tentarono di mettersi in contatto telefonicamente con la polizia pochi minuti dopo il sequestro. Ma il giovane poliziotto non riuscì a comprendere il messaggio sussurrato da Gilad Shaar e, dopo aver tentato invano di richiamare il numero, decise che si trattava di un errore e archiviò il caso. Solo tre settimane dopo, quando i corpi dei ragazzi furono ritrovati, la polizia rese pubblica la registrazione, che, esaminata con opportuni strumenti, rivelò il contenuto agghiacciante: “siamo stati rapiti”, seguito da spari e grida in arabo. Il tempo perduto tra la telefonata e l’allarme dato dalle famiglie avrebbe forse consentito all’esercito di di salvare la vita ai ragazzi o almeno di evitare che i terroristi si dessero alla fuga (furono catturati settimane dopo).
Kpostas, che era allora un giovane studente alla Ben Gurion University, si dedicò con un gruppo di amici a studiare un sistema di allarme che consentisse a persone in stato di emergenza di inviare un segnale di allarme senza dover telefonare, e alle autorità di localizzarlo e farsi subito una idea della situazione.
Recentemente la compagnia ha siglato un accordo con il Weizmann Institute per consentire di inviare segnali di pericolo in zone non coperte da GPS e da reti telefoniche, attraverso gli smartwatches. Il Weizmann ha già dotato il proprio staff, gli studenti e i ricercatori di smartwatches che possono identificare una caduta o uno shock e far partire un segnale. Con la app SavyVu il segnale, anche senza copertura telefonica, potrà avviserà il sistema di allerta installato nel campus, specificando l’esatta posizione della persona in pericolo.
La compagnia sta ora studiando altre applicazioni. In SudAmerica, per esempio, viene sperimentato un piccolo apparecchio che consente ai guidatori di autobus di mandare un segnale geolocalizzato in caso di attacco. “Il prossimo passo è di riuscire a dare informazioni precise ai soccorritori in caso di emergenze in ambienti interni” , spiega Alex Rivkin, CTO a senior developer del software di SayVu, in una intervista a No Camels, una newsletter della Fondazione canadese Asper e dell’IDC di Herzlya, dedicata alla e nuove tecnologie israeliane. L’obiettivo è di ridurre del 75% il tempo necessario ai soccorritori per trovare una persona in pericolo all’interno di un edificio.

Viviana Kasam