Il cibo della convivenza
Molto è stato scritto e detto – decretandone il successo – su “Ricette e precetti”, acuto divertissement ideato e raccontato da Miriam Camerini (istruzioni culinarie di Benedetta Jasmine Guetta e Manuel Kanah ossia i pilastri di www.labna.it, illustrazioni di Jean Blanchaert, editore Giuntina). E Miriam stessa non ha bisogno, almeno qui, di lunghe presentazioni. La sua cifra è l’eclettismo: regista teatrale, attrice, cantante, studiosa di ebraismo, è iscritta al primo corso rabbinico aperto anche alle donne nel mondo ortodosso (il Beit Midrash Har’El), nata a Gerusalemme, cresciuta a Milano, continua a fare la spola tra le due città, accomunate dal prefisso 02.
Ciò che a mio avviso conta di questo potpourri composto da rigorosissimi dosaggi alimentari, sapienza ebraica e religiosa in genere, ironia e autoironia, leggerezza, digiuni e banchetti, divieti è il rapporto che ogni società ha con la natura e il divino. L’hard core della “mia” lettura è descritto da Paolo Rumiz nella introduzione: se il cibo riesce a coniugare l’identità e la contaminazione con l’altro, produce buone ricette di convivenza. E di civiltà.
Per dire… pag 93, riso e fagioli, in mezzo mondo. «Gallo pinto in Nicaragua, Costa Rica e Panamà. Moros y Cristianos a Cuba (…) dove è più comune l’uso di fagioli scuri o neri, la fervida immaginazione popolare ha riprodotto l’incontro dei neri d’Africa con i bianchi cristiani, donde il nome di Moros y Cristianos. Secondo una fonte spagnola, i Moros in questione non sarebbero gli africani della versione cubana, bensì gli ebrei che vissero nella cristiana Spagna fino alla cacciata del 1492. Come dire? C’è sempre qualcuno che è il “moro” di qualcun altro». Cosa che, per altro, diceva sempre anche mio nonno, veneziano doc.
Stefano Jesurum
(18 luglio 2019)