Il feticismo della fede
“Il calvario di Salvini”, titolava in prima pagina Libero il 16 luglio, scegliendo il motivo della passione per descrivere l’amato vicepremier nel caos del Russiagate. Non è la prima volta, in questi mesi, che Salvini viene accostato a Gesù; lui stesso, d’altra parte, ha contribuito ampiamente scegliendo per il libro uscito da Rizzoli il facile slogan “Secondo Matteo”. Da lì a “Il vangelo secondo Matteo”, come ha titolato Il Foglio il 2 giugno, il passo è stato breve. “Cattolici a un bivio: il Papa o Salvini”, ha aperto La Repubblica l’8 luglio, di fatto avallando l’idea che il singolare vangelo del singolare ministro degli Interni sia una alternativa credibile per i cattolici italiani.
Del Vangelo di Salvini si discute da mesi. Un capitolo significativo di questa vicenda si è svolto il 18 maggio, quando in piazza Duomo a Milano il leader nazionalpopulista ha chiuso un comizio brandendo e baciando un rosario e affidando l’Italia al cuore immacolato di Maria. C’è stato chi nel mondo cattolico ha parlato di “idolatria”, Famiglia Cristiana ha scritto di “sovranismo feticista”. Per comprendere la linea del capopopolo leghista credo che la definizione di “feticismo della fede” si avvicini alla realtà.
È interessante guardare a testate come Libero, Il Giornale, La Verità e Il Tempo, che con sfumature diverse possono essere ricondotte a quella destra movimentista, populista e nazionalista che oggi gode di ampio consenso nel nostro paese. Questi giornali ospitano da settimane con frequenza crescente interventi a favore di un cristianesimo alternativo a quello della “Chiesa di Bergoglio”: un cristianesimo non buonista, qualsiasi cosa voglia dire, scarsamente ecumenico e indifferente agli altrui drammi, a cominciare da quelli dell’immigrazione; un cristianesimo per il quale l’amore per il prossimo è, se mai c’è, un valore secondario. L’eco di questa serrata campagna si è sentito anche in piazza Duomo il 18 maggio, quando dalla piazza sono partiti fischi in direzione del papa.
Può darsi che abbia lasciato correre la fantasia, ma con questi fischi a me sembra di sentire il sibilare del vento nella sterminata foresta del nord notturna e gelata; gli spiriti del sangue e del suolo evocati nell’opera di Wagner, perfetta nella propria grandiosa compiutezza totale e totalitaria; il diritto che sgorga dalla terra, dalla forza, dalla mitica autoctonia. Mi sembra l’urlo di chi crede che nel cristianesimo ci sia (ancora) troppo ebraismo, e che le cose possano, debbano cambiare.
Giorgio Berruto
(18 luglio 2019)