Agnes Heller (1929-2019)

Dalla gioventù in fuga dal nazismo che gli portò via il padre, deportato e ucciso ad Auschwitz, all’opposizione al regime sovietico che segnò il suo impegno di intellettuale non allineata. Ha attraversato sfide e ostacoli di ogni sorta Agnes Heller, la grande filosofa ungherese scomparsa nella giornata di venerdì all’età di 90 anni. Uno sguardo sempre lucido, anche sulle storture del presente, specie nell’Ungheria a trazione Orban che non ha esitato a definire “un’infezione per l’Europa intera” al pari dei suoi amici populisti e sovranisti dell’Est Europa. Lo sguardo di una studiosa, provata in prima persona dalle ferite del Novecento, il cui contributo difficilmente sarà dimenticato.
Ammoniva Heller, in una recente intervista con Repubblica: “La memoria europea non guarda cento anni indietro. Persino la Germania ha fatto bene i conti con l’Olocausto ma non con il 1914. Dopo il 1945 l’Europa occidentale credette in un futuro senza guerre, specie tra Francia e Germania. Vennero ricostruzione e welfare, la gente era felice, si arricchiva. L’oblío del passato ha resuscitato i vecchi dèmoni. I nazionalisti etnici stessi non lo sanno ancora ma marciano verso un futuro a rischio di guerre”.
Temi che ricorrono nelle diverse testimonianze di queste ore. “Allieva di Lukács, marxista dissidente, esule politica, critica di Orbán” la ricorda il Corriere, sintetizzando in queste parole il percorso di una vita. “La sua è stata una sfida lucida e senza paura a ogni totalitarismo e ad ogni autocrate” si legge su Repubblica. “Una volta mi disse che il giorno più felice della sua vita fu quando vide i soldati sovietici entrare a Budapest nel gennaio 1945. Per lei, ragazza ebrea miracolosamente sopravvissuta fino ad allora, fu la liberazione. Ma, aggiungeva, liberazione non significa libertà” la testimonianza, sempre su Repubblica, di Wlodek Goldkorn. “La libertà per me ha sempre significato liberazione dal nazismo”, una delle frasi citate da Donatella Di Cesare sul Manifesto. “Di quell’esperienza traumatica – si legge – le era rimasto un profondo attaccamento alla vita. Desiderava viverla ogni giorno pienamente, godendo di tutto quello che le veniva concesso; ma senza mai sottrarsi alle sue responsabilità”. Il Fatto Quotidiano riporta un suo stralcio da Il valore del caso, pubblicato da Castelvecchi. Una riflessione molto significativa, che riporta agli anni della gioventù e alle prime prove di una vita subito in salita: “È stato un caso – scrive Heller – che fossimo poveri. Mi faceva sentire molto sola alle elementari. La povertà era un segno di inferiorità. Il fatto che fossi più interessata ai libri che ai vestiti e all’amore come le altre mi isolò dalle compagne di scuola. Ma fu sostanzialmente una fortuna, perché plasmò il mio carattere”
.
(21 luglio 2019)