Periscopio – 50 anni dopo

lucreziAnch’io, come quasi tutti, mi sono lasciato coinvolgere dalle commemorazioni del cinquantesimo anniversario dello sbarco sulla luna, abbandonandomi – come tutti quelli della mia generazione – alla nostalgia per quelle forti e inedite emozioni provate, tanto tempo fa, in compagnia dei familiari più stretti, la maggior parte dei quali, ovviamente, non ci sono più. Se mi avessero chiesto, quella notte magica, cosa pensavo che avrei fatto esattamente cinquant’anni dopo, avrei risposto – come, immagino, molti dei ragazzi della mia età (avevo, allora, quattordici anni) – che forse mi sarei trovato a fare un giro in astronave per la galassia, o che sarei stato a dipingere nel mio atelier su Venere… Non è andata così, pazienza, si può vivere anche sulla vecchia Terra. In compenso, allora nessuno immaginava che saremmo andati camminando, ogni minuto, guardando un piccolo aggeggio tascabile, che ci avrebbe permesso in qualsiasi istante di dialogare, guardandoci negli occhi e scambiandoci sorrisi, con parenti, amici e conoscenti di ogni parte del globo, di prenotare una vacanza, firmare un contratto o fare un bonifico stando comodamente seduti in un pullman o sotto un ombrellone. E nessuno poteva immaginare che, di lì a pochi anni, una donna avrebbe potuto partorire, dal proprio grembo, un figlio non suo. E se ci avessero detto che, vent’anni dopo, il comunismo sarebbe finito in gran parte del mondo, saremmo stati certi che ciò sarebbe avvenuto al prezzo di una tremenda guerra atomica. Possiamo ringraziare Dio, pertanto, che non sia andata così.
È difficile valutare, a distanza di mezzo secolo, quanto, in questo lasso di tempo, il mondo sia cambiato, in che misura sia andato progredendo, o regredendo, lungo le strade che allora sembravano tracciate, quante promesse siano state realizzate, quante tradite, quante cose siano avvenute che nessuno avrebbe immaginato. Ma, guardando, cinquant’anni dopo, le riprese dell’Apollo 11 sul suolo lunare, il passo esitante di Armstrong (che, prima di posare il piede sul terreno, sembrò per un attimo tornare indietro, come se avesse cambiato idea), riascoltando quelle sue celeberrime parole (“è un piccolo passo… ecc.”), e confrontando le emozioni del quattordicenne di allora con quelle del sessantaquattrenne di ora, mi pare che la differenza principale sia soprattutto una. Quando l’Adamo lunare disse che “era un grande passo per l’umanità”, tutti, ma proprio tutti, ci credevano: credevano che fosse un grande passo, e che a compierlo non fosse stato un solo uomo, un solo team di scienziati, una sola superpotenza, ma, davvero, l’umanità tutta. Certo, anche allora l’umanità era divisa, e l’America non era certo amata da tutti. Ma anche il blocco sovietico era da tempo impegnato nell’impresa spaziale, e chi guardava con simpatia a quel mondo era magari geloso o invidioso del primato americano, ma non poteva negare che fosse stata compiuta un’impresa mirabile, a cui tutti aspiravano, che tutti coinvolgeva. Non tutti erano contenti che l’America fosse arrivata per prima, ma tutti riconoscevano che quell’impresa era di tutti, per tutti. Davvero, dell’umanità. La parola “umanità” aveva un significato. C’era chi la desiderava liberale e capitalista, chi ‘popolare’ e socialista, ma si trattava comunque di umanità, dell’unico genere umano, a cui tutti, volenti o nolenti, sapevamo di appartenere.
Ecco, sarà per il mio congenito pessimismo, ma mi pare che proprio quella parola, ‘umanità’, sia oggi scomparsa. Ogni l’uomo rappresenta ormai soltanto se stesso, al massimo la propria famiglia, o la propria sottocorrente di partito. Se oggi un astronauta posasse il piede su un nuovo, lontano pianeta, la gente si chiederebbe innanzitutto quali siano le sue credenziali etniche, politiche, religiose, chi è che lo manda, con quali soldi viaggia, per chi vota, e – in caso di mancato gradimento – lo coprirebbe di insulti, cambiando immediatamente canale.

Francesco Lucrezi

(24 luglio 2019)