Incominciamo da noi a salvare il Pianeta
Alla faccia di Trump e dei negazionisti climatici, le condizioni del nostro pianeta sono drammatiche. Il riscaldamento dei mari sta portando nel Mediterraneo pesci caraibici, molti dei quali pericolosi per l’uomo. La desertificazione avanza, e rende esponenziale l’esodo dei disperati che non hanno mezzi per sopravvivere. Le plastiche stanno invadendo gli oceani e danneggiando la fauna marina. Assistiamo sgomenti ai capricci del tempo, caldi da record nelle città nordiche, clima tropicale in quelle più a sud, uragani, trombe d’aria. Un cataclisma che la maggior parte di noi finge di non vedere, se non nei momenti di allarme. Quest’anno è di nuovo anticipato di tre giorni rispetto al record del 2018 l’Earth Overshoot Day, ovvero il giorno in cui gli abitanti della Terra hanno consumato le risorse naturali dell’intero anno. Come se una famiglia a fine luglio avesse speso tutto il gruzzolo destinato a sopravvivere fino dicembre. E dovesse dar fondo ai risparmi. In quanto tempo sarebbe ridotta sul lastrico?
Avremmo bisogno di raddoppiare il pianeta (addirittura quintuplicarlo nei Paesi più industrializzati) per continuare a permetterci il nostro stile di vita, ma ben pochi sono disponibili a fare qualche rinuncia.
Invece che responsabilizzarci individualmente, aspettiamo misure dall’alto: normative, accordi internazionali, che non arrivano perché sono troppi gli interessi divergenti da mettere d’accordo. Ci sentiamo impotenti, eppure ognuno di noi potrebbe cominciare a fare qualcosa. Gesti semplici ma efficaci.
Il primo riguarda l’aria condizionata. Non ha nessun senso, anzi fa male alla salute, tenerla a 20° (o anche meno, come avviene nei Paesi orientali o in America), quando fuori ce ne sono trenta. Il senso di sollievo, e la riduzione dell’umidità, sono già efficaci con una escursione termica di 5°/6°. Con temperature esterne tra i 30° e i 40°, la temperatura ideale negli ambienti è 26°. E il telecomando deve essere settato su Auto, in modo che l’impianto funzioni solo quando è necessario, fermandosi nel momento in cui si è raggiunta la temperatura auspicata. Non si capisce perché non venga deliberata a una normativa, come avviene per il riscaldamento. E’ vero che è difficile controllarne l’adempimento nelle case private, ma nei luoghi pubblici, negli uffici, nei negozi e negli aeroporti il regolamento può essere facilmente applicato, comportando non solo benefici alla salute, alla spesa energetica, ma anche alla temperatura delle città, dove l’aria calda che esce dagli impianti contribuisce a surriscaldare le strade.
Un altro gesto di cui ciascuno può diventare responsabile, è la dieta. Ogni anno 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti vengono sprecati o gettati via. In Italia, secondo una ricerca della Fondazione Barilla, circa 65 chili di alimenti chili pro capite finisce nella spazzatura (e il triplo negli USA); una quantità che d’estate aumenta ulteriormente, a causa delle alte temperature che rendono più difficile la conservazione dei cibi. Non è solo un problema etico, che riguarda la iniqua distribuzione delle risorse alimentari. C’è anche un problema ecologico, perché la produzione di questa valanga di cibo inutilizzato comporta spreco di acqua, danni ai terreni sfibrati dalle coltivazioni intensive e dalle monocolture e aumento dei gas serra nell’atmosfera, ovvero di metano (CH4), protossido d’azoto (N20), anidride carbonica (CO2) e ammoniaca NH3.
In Italia il 9,3% dei gas serra viene prodotto dall’agricoltura, e in particolare dagli allevamenti intensivi di suini e bovini nei processi di fermentazione enterica (gas prodotti durante la digestione) e dai processi di trasformazione – in particolare anaerobica – che avvengono nelle deieizioni. A questo va aggiunto l’uso di energia fossile ai fini della produzione di alimenti per il bestiame e dei trasporti, e l’utilizzo industriale di erbicidi, antiparassitari e fertilizzanti, soprattutto azotati, per la coltivazione di foraggi e dei mangimi. Ma c’è di più. Gli animali seviziati in molti allevamenti intensivi producono le cosiddette “tossine del dolore”, che sono nocive per chi ne consuma le carni.
E tutto questo per la follia di mangiare carne tutti i giorni (o pesce tutti i giorni: i danni per il mare sono analoghi, e gli antibiotici e gli ormoni utilizzati nei mangimi sono una vera e propria minaccia per l’ambiente marino e per i consumatori).
Basterebbe tornare a una dieta equilibrata, dosando, come si faceva un tempo, i consumi di carne e pesce –una volta alla settimana è più che sufficiente- e alternandoli con uova, formaggi, legume, verdure, cereali, pollame. Come si faceva in passato in Italia quando il venerdì era destinato al pesce, e la domenica alla carne. Avremmo meno problemi di salute e di obesità, e salveremmo il pianeta. Secondo lo studio della Fondazione Barilla (parte in causa, è vero, ma non per questo meno credibile) in Italia basterebbe dimezzare il consumo annuale di carne per contribuire a portare in avanti di 15 giorni l’Overshoot Day, 10 dei quali solo per la riduzione delle emissioni. E se ogni cittadino riducesse del 50% gli sprechi alimentari, la data si sposterebbe indietro di ulteriori 11 giorni.
Incominciamo da noi a salvare il Pianeta, e educhiamo i nostri figli a rispettarne le risorse.
Viviana Kasam