La difesa del diritto
Non ha fine la campagna con cui il ministro dell’Interno Salvini si sta impegnando a condurre al degrado la vita civile, politica e culturale del paese. Di alto valore morale il grido di allarme lanciato da Noemi Di Segni, presidente dell’UCEI, che cerca di richiamare a una maggiore consapevolezza del suo ruolo e delle sue responsabilità chi ‘ai più alti livelli istituzionali, continua a soffiare sul fuoco di orrendi pregiudizi’. Ma è un richiamo che, si teme, non potrà avere effetti visibili sul modo di condursi di una figura politica che sempre più dà la sensazione di volersi accostare alla figura del ‘popolare’ condottiero mussoliniano: petto nudo bene in mostra, rivestito di una inerte e goffa pinguedine, mentre si esibisce elettoralmente sulle spiagge d’Italia, fra la gente che lo attornia onorata di accostarsi a tanto alta presenza.
La strategia salviniana opera quotidianamente su due fronti, uno esterno e uno interno. Da un lato, istilla paura e odio per l’inesistente invasione migratoria – i barbari terroristi che assaltano le nostre coste e mettono in pericolo la nostra sana e pura civiltà (la civiltà di Auschwitz, per capirci, o quella di Srebrenica, o, quella difesa dal criminale norvegese Anders Breivik, o, nel nostro piccolo, quella auspicata dagli avanguardisti di Casa Pound e simili). Sullo stesso fronte esterno, semina il livore contro un’Europa che – a imitazione di una già nota ‘perfida Albione’ – vuole la nostra rovina economica. Vuol farci sentire quotidianamente in trincea, come per una guerra di logoramento. Ci prepara così al disastro che, quando avverrà, sarà colpa di qualcun altro. Sul piano interno, invece, mostra tutta la sua banale figura di uomo qualunque, partecipando a torso nudo a feste di paese, giocando a fare il disk jockey con l’Inno di Mameli, invocando continuamente l’aiuto della Madonna, come una qualsiasi nonnina di campagna, o preoccupandosi di far scorrazzare il figlio sulla moto d’acqua di un poliziotto in servizio. Il signor Salvini, dunque, è in mezzo a noi ed è uno di noi. Peccato, perché, in quanto ministro della Repubblica che regge il destino di un paese, lo si vorrebbe migliore di noi e culturalmente e civilmente al di sopra di noi, come si soleva pensare un tempo. E invece ci sta abituando al degrado della nostra vita e dei nostri valori. Parlare di stile sembra persino fuori moda, oggi, quasi ci si vergogna a scrivere la parola. Per non parlare poi dei contenuti. Se modello egli è – e intende essere –, lo è in negativo, e ci riesce alla perfezione.
Quel che è peggio è che il degrado a cui ci sta portando inquina non solo la vita civile e le istituzioni, ma lo stesso cervello e l’abito comportamentale di chi gli sta attorno. I modi e la condotta del condottiero che tanto ci somiglia (e che in effetti sta operando per far sì che noi si finisca per somigliare a lui) condizionano la sua gente, che pensa di trovare il proprio valore solo in relazione a ciò che lui è e a ciò che lui pensa e afferma. Sono da compatire e da biasimare quegli agenti delle forze dell’ordine che impediscono a un giornalista di filmare il figlio del ministro sulla moto d’acqua della polizia. Ma, quegli stessi agenti, sono anche da temere nel momento in cui intimidiscono il giornalista chiedendogli le generalità e dicendogli che ‘ora sanno dove sta di casa’. Si è sempre voluto credere che le forze dell’ordine fossero al servizio della popolazione, tutta, non solo a tutela privata del potere e dell’autorità, soprattutto quando l’autorità si sta servendo di un pubblico servizio per privilegiare interessi volgarmente personali.
Il poliziotto che a me, semplice cittadino, chiede i documenti – senza alcun motivo valido – e al solo scopo di intimidirmi abusa della sua divisa e disonora tutti coloro che, fra le forze dell’ordine, servono con dedizione e correttezza. Giustamente il capo della Polizia Franco Gabrielli ha aperto un’indagine sull’episodio, che, nella sua piccolezza, è di una gravità eccezionale per la salvaguardia dei principi di libertà e di democrazia di un paese civile.
Benissimo ha fatto Noemi Di Segni a esprimere la preoccupazione (e lo sconcerto?) dell’ebraismo italiano. Malgrado le perplessità di chi vorrebbe che gli ebrei ‘non si facessero del male’ uscendo allo scoperto per richiamare a principi di civiltà e di umanità un’autorità dello stato. Ma la politica dello struzzo non rende un buon servizio alla società.
La degenerazione del vivere civile, indotta da chi ci governa, fa male al paese e a tutti i suoi cittadini, non solo al singolo che accidentalmente venga colpito dalla prevaricazione. La difesa del diritto la si esercita levando la voce ogniqualvolta il diritto venga leso, non soltanto quando leda i diritti miei personali. L’egoismo non fa bene agli altri, ma non fa bene neppure a noi stessi, e non fa bene, soprattutto, alla nostra coscienza. Specie se ebraica.
Dario Calimani, Università di Venezia