Giovanni Spadolini, vita di un italiano

baldacciPer ricordare il venticinquesimo anniversario della scomparsa di Giovanni Spadolini, avvenuta il 4 agosto 1994, il Presidente della Fondazione omonima, Cosimo Ceccuti, ha scelto di pubblicare un volume fotografico, curato da lui stesso (Giovanni Spadolini. Frammenti di vita di un italiano 1972-1994, Polistampa, Firenze, 2019), che ripercorre la vicenda dello statista fiorentino, dal momento in cui, dopo il brusco allontanamento dalla direzione del Corriere della Sera, decise di partecipare in prima persona alla vita politica, accettando la candidatura offertagli dal Partito repubblicano, fino alla sua morte. Un libro di grande suggestione, nel quale le immagini, molte delle quali inedite o comunque poco note, sono accompagnate da ampie didascalie e introdotte da una riflessione dello stesso Ceccuti.
La scelta di focalizzare il volume – e quindi anche il ricordo – sul lungo periodo di partecipazione diretta alla vita politica, sollecita una riflessione sul significato che oggi assume la figura di Giovanni Spadolini, partendo da un’osservazione dello stesso Ceccuti, che si è detto quasi sorpreso della risonanza che questo anniversario ha avuto sui media italiani, una risonanza che non c’era stata, almeno non nella stessa misura, in occasioni precedenti. In realtà il ricordo di Spadolini invita anche a ripensare alle caratteristiche della classe dirigente del periodo della cosiddetta Prima Repubblica, con un inevitabile riferimento a quella attuale.
Intendiamoci: Giovanni Spadolini fu una figura anomala, eccezionale, anche nell’ambito di quella classe politica. Spadolini arrivò alla vita politica non dopo il normale cursus all’interno di un partito, ma dopo aver percorso due carriere che da sole sarebbero state sufficienti per qualsiasi altra persona: quella di studioso, che lo vide giovanissimo sulla cattedra di Storia contemporanea, la prima istituita in Italia; e quella di giornalista che, dopo la lunga collaborazione a Il Mondo di Pannunzio, lo portò alla direzione del Resto del Carlino di Bologna, che resse per ben tredici anni, e successivamente a quella del più prestigioso quotidiano italiano, il Corriere della Sera, che tenne in uno dei periodi più difficili della storia d’Italia, dal 1968 al 1972, dall’esplosione della contestazione studentesca alle prime violente manifestazioni del terrorismo; e fu proprio la sua non disponibilità a una lettura corriva e conformistica di quei fenomeni che indusse la proprietà del Corriere a sostituirlo nella direzione del quotidiano.
La politica italiana ebbe così la ventura di arricchirsi di un personaggio che da subito si caratterizzò come uomo delle istituzioni: il far parte del più piccolo partito italiano non gli nocque, anzi sottolineò quanto rilevante fosse il suo apporto personale alla vita della Repubblica. Il libro ripercorre le tappe dei suoi ruoli istituzionali: ministro dell’Istruzione, dei Beni culturali, della Difesa, Presidente del Consiglio (il primo capo di governo laico nella storia della Repubblica), Presidente del Senato; ma mette in evidenza anche la statura di Spadolini a livello internazionale, sottolineando in particolare i suoi rapporti con i maggiori statisti del suo tempo, fra i quali va ricordato quello con Shimon Peres, che fu particolarmente intenso. In effetti Spadolini si caratterizzò come uno dei pochi politici italiani ad avere le idee chiare sullo Stato d’Israele, sul suo significato etico e politico, dopo la tragedia della Shoah. Il libro riporta puntualmente una serie di momenti che scandirono questo rapporto particolare con lo Stato ebraico; ma è anche opportuno ricordare che il primo di questi momenti fu costituito dalla visita in Israele che Spadolini fece nell’aprile 1975 come ministro dei Beni culturali, per rendersi conto di persona della realtà degli scavi archeologici che si stavano facendo a Gerusalemme e che avevano indotto l’Unesco, dietro sollecitazione degli Stati arabi, a condannare il sionismo come espressione di razzismo. Spadolini reagì con vigore all’infame accusa, un vigore che non sempre ha caratterizzato il comportamento dei rappresentanti italiani all’Unesco.
Spadolini fu figura eccezionale nel quadro della classe politica italiana del suo tempo ma ne fu al tempo stesso un componente, accanto ad altri uomini politici che, se non avevano la sua stessa levatura culturale, tuttavia esprimevano, spesso ad alti livelli, le diverse componenti della cultura politica che si era affermata in Italia dopo la caduta del fascismo. L’anno della sua morte– il 1994 – acquista inevitabilmente un significato simbolico, perché insieme a Spadolini scomparve un’intera classe politica. Come scomparve, o meglio, come fu fatta scomparire, è oggi oggetto di una riflessione che non può che partire dalle miserie del presente, che fanno capire come sia difficile formare una classe dirigente e come ancora più difficile sia crearla dal nulla.

Valentino Baldacci