Il vestito

sara valentina di palmaLa scuola è chiusa. I pomeriggi estivi, lunghi e lenti. Per fortuna ci sono parchi da esplorare e tanti libri da leggere al riparo in casa quando la calura è opprimente. Così mi è stato messo tra le mani uno dei più amati di decenni fa: Il vestito del buon Dio di Ibi Lepscky (Einaudi, 1975, pubblicato nella collana Tantibambini diretta guarda caso da Bruno Munari). L’argomento è apparentemente sovversivo: in barba al secondo precetto sul divieto di raffigurazioni, e seguendo istinti che in passato si sono più o meno apertamente manifestati (si pensi ai mosaici con lo zodiaco della sinagoga di Hammat Tiberias in Galilea risalente al terzo secolo dell’era corrente, o a quella siriana leggermente più antica di Dura Euporos decorata da dipinti di animali ed esseri umani ripresi da racconti della Torà ed in cui appare anche la mano del Signore), una bambina disegna Kadosh BaruchHu.
Nel disegno, Dio è vestito di tutto punto, e ciò innesca una diatriba con altri bambini sulla presenza o meno di tasche sull’abito del Signore. Non: se possa essere disegnato non sapendo davvero come è fatto, o se sia immaginabile con sembianze femminee, avrei pensato io. O perché necessariamente anziano. No, la questione, per la quale vengono poi interpellati presunti sapienti ed adulti di vario tipo, è se il vestito del Signore abbia o meno le tasche. Forse per metterci le mani, una onnipotente ed una misericordiosa? Contenere i segreti del mondo?
Il racconto è in realtà anticonformista già nella veste grafica: un libriccino che inizia a narrare la storia scrivendone l’incipit sulla copertina. E poi la bambina si confronta, osa anche cambiare: dopo aver appurato che in fondo ognuno immagina il buon Dio in maniera diversa e, curiosamente, abbastanza simile a se stesso (il marinaio come un raggio di sole, l’uomo di fumo come nebbia, la donna dal fazzoletto a fiori come un prato fiorito), la ragazzina ridisegna la veste con una cintura di fiume e di pesci, un orlo di alberi a guisa di frangia pendente un po’ come i rimmonim e le campanelle in fondo al manto del Coen Gadol (Scemot 28, 33-34) e gli tziziot comandati ai quattro angoli della veste (Bemidbar 15,37), maniche da cui spuntano fiori e animali, e soprattutto tantissime tasche con affacciati bambini colorati.
Chissà cosa pensa l’Onnipotente di questa fantasia, dopo aver vestito il primo uomo e la prima donna con vesti di pelle, probabilmente la pelle del serpente (Bereshit 3, 21). Ma se invece di Or עוֹר fosse Or אוֹר, l’Adam avrebbe avuto una tunica di luce. La bambina annuirebbe soddisfatta.

Sara Valentina Di Palma