I conti con la storia

emanuele calòSul Corriere della Sera del 4 Agosto 2019, Felice Cavallaro scrive una nota su “La fonte imbarazzante del Gattopardo”, dove riferisce che, a Palermo per ricevere il premio letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa, giunto alla sedicesima edizione, lo storico Carlo Ginzburg, che ha avuto il riconoscimento per il saggio Nondimanco. Machiavelli, Pascal pubblicato da Adelphi, cita Razza e fascismo, saggio del ’39 di Giuseppe Maggiore, giurista e scrittore, noto per il romanzo Sette e mezzo uscito nel ’52, al quale l’Università di Palermo ha intitolato una borsa di studio. L’autorevole storico cita anche Tomasi di Lampedusa: “Nelle lettere ai cugini, riporta alcuni stereotipi antisemiti che sono agghiaccianti. In seguito si rifà, stabilendo una cesura con quel periodo”.
Nondimeno, poiché l’antisemitismo fa parte della cultura nazionale, non sempre mi scandalizzo, se non altro per l’inefficacia di fare l’indignato. Certo, se l’antisemitismo venisse meno, si rischierebbe di porre troppe domande imbarazzanti, non necessariamente nocive per l’ebraismo.
Come abbiamo già scritto su queste pagine, Alberto Moravia scrisse a Benito Mussolini: “Io ebreo non sono, se si tiene conto della religione. Sono cattolico fin dalla nascita e ho avuto da mia madre in famiglia educazione cattolica. È vero che mio padre è israelita; ma mia madre è di sangue puro e di religione cattolica, si chiama infatti Teresa De Marsanich ed è la sorella del Vostro sottosegretario alla comunicazioni. Per queste ragioni, Duce, io vi chiedo di non essere considerato ebreo, e di essere trattato, almeno dal punto di vista professionale, come [non] ebreo. Permettetemi, Duce, di esprimerVi insieme con la mia profonda devozione, la mia speranza nel Vostro superiore senso di giustizia” (Moravia e il fascismo. A proposito di alcune lettere a Mussolini e a Ciano, «Studi Italiani», nn. 38-39, a. XIX, fasc. 2, luglio-dicembre 2007 – a. XX, fasc. 1, gennaio-giugno 2008, pp. 189-240). Sarebbe da domandarsi perché Tommasi di Lampedusa si sarebbe comportato meglio o peggio di Moravia, ma queste deduzioni trascendono le nostre possibilità.
Ora, i premi letterari nascono e muoiono, il che costituisce una banalità, anche se non sarebbe ozioso approfondire le cause per cui sorgono e poi si estinguono, laddove la persona che intendono onorare si sia molto attivata per l’applicazione delle leggi razziali e, soprattutto, quando la giuria non sembri essersene accorta, ancorché fosse formata da personaggi di sicuro valore. Certo, se il certame fosse venuto meno, vorrebbe dire che qualcuno se n’è accorto. E così, ho fatto una modesta concorrenza alle riviste di enigmistica, con la sola differenza che è altamente improbabile che il lettore sappia o possa venirne a capo.

Emanuele Calò, Giurista