Tisha BeAv
Tisha BeAv, nel caldo agostano. Una piccola isola così remota che la luna si illumina al contrario. La coppia neozelandese con cui la sincerità della conversazione è equivalsa ad ammissione di colpevolezza (lingue conosciute: ebraico) è fortunatamente costituita da viaggiatori colti e curiosi, bastevolmente sensibili da non incalzare con quesiti capaci di farti sentire al giardino zoologico (si intende come visitato invece che visitatore), i quali ti prestano una rivista che, il caso vuole, racconta la vita di un avvocato donna di Auckland di religione ebraica, Juliet Moses.
Being Jewish in New Zeland (in North & South, August 2019, pp. 62-68 ) parla di pionieri che grazie a Dio sono stati indirizzati verso spiagge benedette, come ebbe a dire in un suo discorso il bisnonno di Juliet, Rav Solomon Katz z.l., presso la comunità ebraica di Wellington nel 1943, mentre dall’altra parte del mondo lo steso Dio assisteva inorridito alla distruzione del Suo popolo.
Ma l’articolo racconta anche con una precisione tagliente quanto quelle spiagge benedette oggi siano sfidate da un crescente antisemitismo: i figli di Juliet sono spesso al centro di ‘motti di spirito’ su stufe e forni, e resi edotti sulla grandezza di Hitler o su cosa dovrebbe essere permesso o meno agli ebrei. Un antisemitismo in aumento non solo in parte del mondo islamico o nella destra estrema, ma anche nell’opposta sinistra radicale per cui il sostegno alla causa palestinese passa attraverso la delegittimazione di Israele (non di un suo governo o di determinate scelte politiche) e del popolo ebraico in sé come infido, di dubbia fedeltà al proprio Stato e (ovvia conseguenza) facente parte di un complotto mondiale contro gli oppressi della terra, quindi da estirpare.
Così, l’esatto opposto del mondo non è tanto diverso dalla nostra Europa – amara constatazione. Ma laggiù, invece, gli oppressi di un tempo che tuttora lottano per riavere la propria terra e pari dignità ed opportunità, i maori, sono invece vicini al popolo ebraico, alle sue millenarie peregrinazioni, al suo amore per la propria patria e alla trasmissione della memoria attraverso il ricordo delle generazioni passate – sino ad identificarsi già a metà Ottocento con una delle tribù perdute di Israele e dichiararsi Tiu, ebrei, o a proporre durante la guerra del Kippur ad un medico ebreo di contattare le autorità israeliane cui donare un’arma di invenzione maori.
Intanto le letture intraprese sulla vicinanza del mondo maori a quello ebraico sono garbatamente interrotte dalla vicina neozelandese da cui tutto è iniziato la quale, di ritorno dalla spiaggia, racconta di avere a sua volta cercato qualche informazione per scoprire, sorpresa, che abbiamo più di una ragione per digiunare ed essere tristi il 9 di Av (sempre per amor di verità e forse un’ingenua fiducia verso il prossimo, fortunatamente ben ripagata, avevo optato per non addurre la scusa di un malessere e provare a spiegare che mio marito non avrebbe mangiato e per quali ragioni, tanto di gente strana ne avrà pure incontrata in giro per il mondo girato in lungo e in largo).
Sì, ne abbiamo tante di ragioni per essere tristi, di fatti luttuosi intorno a questa data ne sono accaduti diversi, nei millenni. Quest’anno un pensiero in più. I bambini della scuola materna, pulcini senza chioccia con la merenda e le lettere dell’alfabeto da ripetere insieme, quando ricomincerà il Talmud Torà – alle madri il difficile ed ingrato compito di spiegare quanto resta incomprensibile e duro. Che il tuo ricordo sia di benedizione, ciao.
Sara Valentina Di Palma