Tu Be’Av e l’uguaglianza

Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di BolognaPassato il momento del grave lutto del 9 di Av: la perdita della propria identità di popolo, il Tempio di Gerusalemme, la Terra di Israele, bisogna andare avanti. Gli ebrei non si fermano a piangere su ciò che è accaduto, ma cercano di andare avanti e ricostruire ciò che è possibile, ad ogni costo. Oggi è Tu be’Av – il 15 del mese di Av – un giorno particolarmente gioioso, secondo quello che ci raccontano i maestri della mishnà:
“Non vi erano giorni più belli per i figli di Israele che il 15 di Av e di Yom ha Kippurim” (Mishnà Ta’anit 4)
In questa giornata, che ci viene ricordata dalla mishnà, nonostante il Tempio non esista più, è rimasto un ricordo indelebile di essa. È narrato dalla mishnà che le ragazze da marito cantavano e suonavano per le strade di Gerusalemme, rivolgendosi ai loro coetanei, chiedendogli di degnarle di uno sguardo per innamorarsi di loro e sposarle per formare nuove famiglie in mezzo al popolo ebraico.
La caratteristica di tutto ciò era che esse, vestivano abiti bianchi che dovevano essere presi in prestito, per non fare alcuna distinzione fra di loro. Tutte dovevano sembrare di uguale stato sociale. Questo grande insegnamento lancia un forte messaggio: in mezzo al popolo non doveva esserci alcuna distinzione tra ricchi e poveri, soprattutto per fondare una famiglia ebraica. Quando lo scopo è quello di fare una mizvà, non ci debbono essere distinzioni: ogni ebreo – ricco o povero – è uguale all’altro e tutti sono uguali davanti a D-o. La mizvà di formare una famiglia ebraica va al di sopra di ogni altra ricchezza; quando un uomo è una donna si uniscono in matrimonio, contribuiscono, come se ponessero una nuova pietra per la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme.

Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna