Palatina, patrimonio inestimabile

Paradossalmente, in un’epoca in cui ancora si perseguitava il ‘diverso’ in nome della fede, si deve all’impegno di un sacerdote vissuto a cavallo tra Sette e Ottocento l’accumulazione e la conservazione di uno dei patrimoni documentali ebraici più significativi al mondo. Per il numero di manoscritti raccolti in tanti anni di ricerca, ma anche per l’immenso valore di alcuni di questi.
Giovanni Bernardo De Rossi era nato nel 1742 a Sale Castelnuovo, in Piemonte. Studente di teologia a Torino, è proprio in riva al Po che inizia lo studio dell’ebraico oltre che di altre lingue semitiche. A interessarlo è soprattutto la letteratura rabbinica, cui dedica molte ore di approfondimento. Il giovane sacerdote rivela sin da subito uno studente validissimo: in ebraico compone infatti una Lettera e un Cantico, traduce in latino passi biblici e un libro di preghiere. La sua prima opera a stampa? Naturalmente un poema ebraico. Come ricorda nelle sue memorie, citate dalla Treccani in una voce della prestigiosa enciclopedia, “la padronanza degli strumenti linguistici gli apparve, fin d’allora, presupposto imprescindibile per la polemica antiebraica che, negli anni successivi, lo occuperà precipuamente”.
Un interesse e una attività che lo portano fino a Parma, nella cui università viene chiamato a insegnare lingue orientali.
A Parma, dove rimarrà tutta la vita, De Rossi dà continuità ai suoi propositi. E anche grazie a una rete di emissari che agiscono in suo nome finisce per fare suoi veri e propri tesori di sapienza, pezzi pregiati di un fondo che nel 1816 viene acquisito da Maria Luigia d’Austria per farne dono alla Regia Bibliotheca Parmense. La collezione De Rossi, tra i principali motivi di vanto della Biblioteca Palatina, che è guidata da inizio estate dalla musicologa Paola Cirani, si compone di 1432 codici dei secoli XI-XVI, molti dei quali splendidamente miniati e di 1464 volumi a stampa, la cui data di edizione è compresa tra il XV e il XVIII secolo; ad essi si aggiungono 10 manoscritti greci, 85 latini, 31 in volgare e diversi in svariate altre lingue.
“Se da un lato la Chiesa cattolica, con l’Inquisizione e la persecuzione del libro ebraico, ha distrutto nei roghi una incalcolabile quantità di manoscritti ebraici, dall’altro ebraisti come De Rossi, o biblioteche come la Vaticana hanno raccolto e preservato per secoli una enorme parte del patrimonio ebraico manoscritto” riconosceva Mauro Perani in un suo intervento pubblicato da Pagine Ebraiche in occasione di un momento di svolta per la collezione De Rossi e per chi ha a cuore la fruibilità di questo patrimonio: l’accordo siglato nel 2013 tra Biblioteca nazionale di Israele e Palatina, in seguito al quale è stato possibile procedere alla digitalizzazione della intera raccolta.
La collezione De Rossi, grazie anche a questa opportunità, costituisce un richiamo fortissimo per la comunità degli studiosi. “Una miniera inesauribile di spunti” conferma Roberta Tonnarelli, che in questo caso, in virtù dei suoi studi e della sua formazione (si è laureata in Conservazione dei Beni Culturali a Ravenna, con una tesi sulle epigrafi dell’antico cimitero ebraico di Senigallia), interpelliamo come addetta ai lavori. Tra i tesori della Palatina, spiega Tonnarelli, uno dei più antichi manoscritti copiati in Italia e in Europa, risalente al 1072-73 e di origine salentina, che fa il paio con un altro manoscritto conservato alla Biblioteca Vaticana (la mano, sottolinea, è la stessa). “Si tratta di una testimonianza di grande interesse, perché ci porta nel vissuto quotidiano di questi ebrei del Medioevo: si parla ad esempio di piante, o di altri oggetti in uso”. Per non parlare di alcune opere celeberrime, come le bibbie miniate sefardite della fine del tredicesimo secolo. O la Mishnah vergata sul finire dell’undicesimo, la seconda più antica al mondo.
Antichità in dialogo con la modernità: Ktiv, The International Collection of Digitized Hebrew Manuscripts, il progetto che sviluppa una intuizione di David Ben Gurion dei primi Anni Cinquanta, ha lasciato il segno: ad oggi il 90 per cento dei manoscritti ebraici risulta infatti accessibile in rete. Un’opportunità che, quando si è presentata, la Palatina ha colto con entusiasmo. “Ciò che fanno le biblioteche – spiegava l’allora direttrice Sabina Magrini – è mettere le persone in rete, dare vita a relazioni tra cataloghi e banche dati, offrire strumenti di lavoro, oltre agli stessi libri. Un tempo si faceva con carte e pergamene, oggi, nell’era di internet è tutto più efficiente e diffuso, ma la nostra funzione non è cambiata. Continuiamo a creare legami tra studiosi, lettori e oggetti”.
Legami che sono sempre più stretti anche con la Comunità ebraica. “La Giornata – afferma Tonnarelli – rappresenterà l’occasione per rafforzare una relazione che entrambe le parti hanno intenzione di proseguire nel tempo. L’idea, di comune accordo con Simone Verde, direttore del Complesso monumentale della Pilotta, è di dar vita a dei prestiti, trasferendo parte del nostro patrimonio dai depositi della Comunità ai locali della Palatina. Vogliamo portare ancora più luce sugli ebrei di Parma”.

Pagine Ebraiche agosto 2019 – Dossier Parma

(18 agosto 2019)