In ascolto
Jean Jacques Goldman
“Questa l’hai mai sentita?”, è una delle frasi che mi sento dire più sovente dagli amici. Chi mi è vicino infatti, sa che consumo musica in quantità smodate e che amo mettere in relazione le storie e le vite che stanno dietro alle canzoni. Proprio ieri un caro amico mi ha segnalato un cantautore francese di cui non avevo mai sentito parlare, nonostante sia molto conosciuto e amato dai suoi connazionali: Jean Jacques Goldman (1951), parigino, figlio di Ruth e Mojsze, due ebrei polacchi immigrati in Francia.
Papà Mojsze era nato nella magica Lublino, la culla dei chassidim e di qui era fuggito a soli 15 anni per l’intensificarsi dell’antisemitismo. Mojsze è un uomo battagliero, idealista e impegnato e sa reinventarsi continuamente: minatore in Francia, soldato in Algeria, poi di nuovo in Francia come sarto e giocatore di basket e infine attivista politico (con una parentesi in Spagna), che milita tra le file del comunismo e nei gruppi di resistenza. Nel 1949 sposa Ruth, un’ebrea tedesca, anche lei membro della resistenza; nascono Evelyne, Robert e, appunto, Jean Jacques, che inizia il suo percorso nella musica con il gruppo Red Mountains Gospellers a soli 14 anni e poco alla volta emergono le sue capacità di chitarrista, organista e suonatore di armonica. Nel ripercorrere le tappe della sua carriera mi sembra di sfogliare un album di storia della musica: a fine anni ’60 fonda The Phalansters, gruppo pop rock legato all’America di Bob Dylan e Joan Baez, ma comincia a guardare con curiosità anche al folk, che all’epoca vive il massimo splendore e gode dell’attenzione degli etnomusicologi oltre che del pubblico; nel 1975 esplora il rock progressive e si apre alla lingua inglese, ovvero la lingua di Genesis, Emerson Lake and Palmer e Pink Floyd, pietre miliari del genere in specifico e della storia della musica in generale. Negli anni ’80, manco a dirlo, opta per un pop più leggero ed è allora che nascono canzoni note: Il suffira d’un signe (1981), primo vero grande successo di cui vende ben 500.000 copie, Quand la musique est bonne (1982), Je te donne (1985) e Là-bas (1987). Nei primi anni 2000, inserendosi sulla scia di quella produzione musicale che guarda con interesse alle culture “altre” (quasi una versione 2.0 delle esposizioni universali), compone “Chansons pour les pieds”, ovvero canzoni per ballare e intreccia ritmi della tradizione europea, zouk e sonorità caraibiche.
La canzone che ho scelto oggi si intitola Bonne Idée, vuoi perché viviamo in un periodo in cui servirebbero buone idee, vuoi perché nel testo sono citati Ruth e Mojsze, i genitori che hanno segnato in modo profondo la sua vita. E poi perché è un brano allegro, un pop che ricorda le canzoni in stile West Coast e i vecchi album di Paul Simon, ma anche la chitarra del più giovane Joshua Radin (o certi brani di Alex Britti) e ci ricorda che “c’erano il sole, i profumi, la pioggia, ogni giorno un nuovo risveglio, ogni giorno un’altra notte…una scintilla prima del buio, un passaggio e un arcobaleno”.
Maria Teresa Milano
(22 agosto 2019)