Trump e le accuse di slealtà
“Parole di verità”, “No, cliché antisemita”
La tempesta non si è ancora placata, ed è anzi destinata avere un effetto anche in vista dell’ormai sempre più vicino appuntamento elettorale del 2020 quando l’attuale inquilino della Casa Bianca chiederà, a trecento milioni di elettori, altri quattro anni di mandato. È un vero e proprio caso politico quello aperto dal presidente statunitense Donald Trump, che ha accusato di “grande slealtà” gli ebrei che votano Partito Democratico. Un tema, con tutte le sue implicazioni, che sta suscitando forti reazioni negli stessi ambienti politici, nelle organizzazioni a tutela dei diritti, sulle pagine dei principali quotidiani.
A provocare particolare inquietudine, accostato alla rivendicazione delle sue posizioni su Israele, è il tema della famigerata “doppia lealtà”: gli ebrei americani, in sostanza, non seguendo Trump starebbero andando contro gli interessi dello Stato ebraico.
“Il ritorno del canard antisemita” titolava giovedì il New York Times, tra i più duri contro Trump. Per la corrispondente Julie Hirschfeld Davis, che firma oggi un nuovo intervento sulle colonne del prestigioso quotidiano newyorkese, Trump “sta flirtando con un concetto che è stato il carburante dell’antisemitismo per secoli e alla base delle più brutali violenze commesse contro gli ebrei nella Storia”. Per Michael D’Antonio, già premio Pulitzer nel 1984, intervenuto sul tema sulla CNN, “rimanendo fedele alla sua ambizione di fare del nostro Paese gli Stati Disuniti d’America, il presidente che ha già offeso musulmani e latini fa adesso lo stesso con gli ebrei”. Argomentazioni che ricorrono sulle pagine dei più importanti giornali e siti di informazione.
Sul fronte dei sostenitori di Trump, da segnalare invece la posizione dell’opinionista conservatore Wayne Allyn Root, ringraziato dallo stesso presidente in un tweet per le parole usate a sua difesa, secondo cui Trump sarebbe “il più grande presidente per gli ebrei e per Israele nella storia del mondo”. Secondo Root, che si definisce “un ebreo convertitosi al cristianesimo evangelico” ed è un noto sostenitore di teorie della cospirazione tra le più bislacche, il popolo ebraico e i cittadini israeliani amerebbero Trump, “vedendo in lui un re di Israele, un nuovo Messia”.
In difesa di Trump anche la Republican Jewish Coalition, secondo cui “sostenere un partito che protegge persone che ti odiano per la tua religione è dimostrazione di una grave forma di slealtà”. Riferimento questo alla recente vicenda che ha avuto per protagoniste due esponenti democratiche, Rashida Tlaib e Ilhan Omar, distintesi più volte per le loro posizioni anti-Israele e contro cui il presidente americano è intervenuto con parole denunciate per la carica razzista dal Consiglio rabbinico ortodosso degli Stati Uniti d’America (“Che si tratti di considerazioni che mettono in discussione la lealtà degli ebrei americani quando è in gioco la sicurezza di Israele o che si prendano di mira i discendenti di immigrati invitandoli a tornare in Paesi che non hanno mai conosciuto, tutto ciò – il messaggio dei rabbini – è in entrambi i casi una minaccia ai valori fondamentali degli Stati Uniti”).
A favore di Trump invece Lee Zeldin, uno dei pochi esponenti ebrei repubblicani al Congresso, che ha comunque ammesso che un intervento di questo tipo “ha suscitato dibattito e critiche”. Sia all’interno che all’esterno del mondo ebraico.
Oltre al fronte compatto delle diverse associazioni ebraiche di chiara fede democratica, sono state diverse le organizzazioni a insorgere contro il presidente. Tra le più attive la Anti-Defamation League, il cui presidente Jonathan Greenblatt ha commentato: “Non è chiaro verso chi, secondo Trump, gli ebrei sarebbero sleali, ma accuse di slealtà sono usate da tempo contro di loro. Sarebbe ora di smettere di strumentalizzare gli ebrei a fini politici”.
“Sono orgoglioso di essere ebreo e non ho dubbi sul voto democratico. E in effetti, intendo votare perché un ebreo divenga il prossimo presidente degli Stati Uniti” ha scherzato Bernie Sanders, in corsa ancora una volta per la leadership dem alle prossime presidenziali.
Anche Woody Allen, nell’intervista odierna con Repubblica, ha voluto dire la sua: “Freud ha detto che ci sarà sempre antisemitismo perché la razza umana è retriva. È vero: le persone sono così spaventate dalla vita che esorcizzano le paure dando la colpa agli ebrei, o ai neri, o agli immigrati. Ci sono sempre altre persone da incolpare e ferire. L’ascesa della destra, magari sono nel Giardino dei Finzi Contini e mi sbaglio, secondo me si fermerà. Alle prossime elezioni negli Stati Uniti si spera vinceranno i democratici, la destra si ritirerà e questo influenzerà il resto del mondo”.
Originale rispetto ad altre voci il punto di vista portato da Andrew Silow-Carroll, editore della Jewish Telegraphic Agency: “Trump – scrive in un editoriale – non pensa che la doppia lealtà sia necessariamente una cosa negativa. Ad aprile, rivolgendosi a un gruppo di repubblicani ebrei, ha definito Benjamin Netanyahu il ‘vostro primo ministro’. In un contesto del genere ha ritenuto perfettamente naturale parlare così. Se qualcuno nella stanza ha obiettato, non c’è traccia di ciò”. È quindi possibile, spiega Silow-Carroll, che Trump voglia mettere al centro la slealtà personale, una mancanza specifica nei suoi confronti. La slealtà d’altronde, insiste, è un concetto chiave “nello scarso vocabolario retorico” del presidente. E, aggiunge, è già stata usato per regolare conti anche tra i repubblicani.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(Donald Trump all’ultimo evento annuale organizzato dalla Republican Jewish Coalition)
(23 agosto 2019)