Calcio e razzismo,
nuovi segnali d’allarme
Nuova stagione, vecchi problemi irrisolti.
La Serie A che ha preso il via questo fine settimana, la più ricca di stelle degli ultimi anni, ripresenta infatti un tema antico, avvilente e molto spesso eluso da chi avrebbe non solo la facoltà, ma anche il dovere di intervenire.
I cori razzisti contro Napoli e i tifosi del Napoli, cantati da una parte della curva della Fiorentina, hanno macchiato quello che, sugli spalti e in campo, è stato per lunghi minuti uno spot di assoluta bellezza calcistica. L’esordio show del nuovo patron Rocco Commisso salutato dall’ovazione dei trentamila del Franchi, una partita meravigliosa che ha tenuto col fiato sospeso gli spettatori dal primo pallone calciato dal centravanti viola Vlahovic all’indirizzo dei suoi compagni di squadra al triplice fischio finale.
“Non voglio pensare al rischio di nuovi cori di discriminazione: ma spero che la situazione in Italia sia migliorata rispetto agli anni passati” si augurava, appena pochi giorni fa, Mario Balotelli. Il centravanti azzurro, tornato nella sua Brescia in cerca di riscatto, è stato per anni il simbolo di questa deriva mai realmente arginata. Lui, come i vari Koulibaly, Muntari e Zoro, vittima tra le più ambite del disprezzo e dell’ignoranza di singoli individui e gruppi organizzati che, diversamente da quanto alcuni sostengono, non sono così irrilevanti da un punto di vista numerico. Una piaga che, sia che si inneggi al Vesuvio affinché “lavi col fuoco” una città, o che si proferiscano “buu” nei confronti di giocatori di colore, o ancora che si espongano simboli neonazisti e neofascisti in curva, appare urgente debellare.
Questi primi scampoli di grande calcio mostrano anche l’universalità di un così allarmante fenomeno. In queste ore fanno infatti parlare gli insulti razzisti a Paul Pogba, la star del Manchester United “colpevole” di aver sbagliato un rigore. Ma segnali preoccupanti arrivano anche dalla curva di un altro club glorioso, il Glasgow Rangers, appena sanzionato dall’Uefa per l’odio urlato dai suoi fan. E dalla Germania, dove un incontro di terza divisione è stato caratterizzato da cori e intemperanze di chiara matrice antisemita.
Eppure ben poche squadre, in Europa, sembrano avere la determinazione del Chelsea. L’unico grande club, ad oggi, ad aver proceduto con l’espulsione a vita di un suo sostenitore per “l’uso di un linguaggio razzialmente offensivo e per un comportamento minaccioso e aggressivo”. E ciò nonostante la decisione dell’autorità giudiziaria di non procedere da un punto di vista penale. La linea, in questi casi, è la famosa tolleranza zero: “Il Chelsea trova disgustose tutte le forme di comportamento discriminatorio e continuerà ad applicare un approccio a tolleranza zero nei confronti di eventuali episodi di razzismo”.
In Italia, fatta l’eccezione del Napoli stesso, che nel recente passato ha anche promosso (unico club di Serie A) un forum UEFA per i giovani su questo tema, le acque si son mosse più a parole che nei fatti. La speranza è che l’ultimo messaggio di Pogba, diffuso in queste ore attraverso i social network, possa davvero lasciare il segno. “I miei antenati e i miei genitori – ha scritto infatti l’asso francese – hanno sofferto per la mia generazione, per oggi farla sentire libera, farla lavorare, farle prendere l’autobus e per farla giocare al calcio. Gli insulti razzisti sono ignoranza e possono solo rendermi più forte e motivato nel combattere per la prossima generazione”.
(Nell’immagine Kalidou Koulibaly, il campione del Napoli oggetto la scorsa stagione di una violenta campagna razzista da parte di alcune tifoserie)
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(26 agosto 2019)