Una diversa Arabia Saudita
Siamo abituati a pensare all’Arabia Saudita come a un Paese arretrato, con un regime dispotico che opprime le donne, elimina gli oppositori, governa con la Sharia.
Ma c’è anche un’Arabia Saudita diversa, di cui raramente si parla.
Cominciò nel 2005 il Re Abdullah, lanciando un ambizioso programma di Economic Cities per attrarre investitori stranieri. Pensate come hubs di tecnologie all’avanguardia, dovrebbero ospitare entro il 2020 quattro milioni e mezzo di abitanti e creare più di un milione di posti di lavoro, diversificando l’economia basata sul petrolio e rendendo l’Arabia Saudita un Paese attraente per gli investitori stranieri e per i turisti. Ma soprattutto formando una borghesia saudita internazionale, colta e libera dal pesante controllo dell’autorità religiosa, che, almeno in teoria, non avrebbe giurisdizione sulle nuove città. “Regole sociali rilassate, miglioramento nei diritti delle donne e mix di stile di vita occidentale e saudita”, promette la presentazione rivolta agli investitori. E grande attenzione all’economia sostenibile basata su fonti energetiche alternative al petrolio, implementata da un programma nazionale per l’alta educazione con la creazione di nuove università e soprattutto programmi di studio all’estero: il King Abdullah Study Program (KASP), che ha portato ad oggi quasi 200.000 studenti, tra cui un’alta percentuale di donne, a formarsi principalmente in US e UK.
Nel 2009 il Re lancia a Thuwal, sulla costa del Mar Rosso, a poche bracciate dalla barriera corallina e da uno dei santuari marini più belli al mondo, il KAUST, King Abdullah University of Science and Technology, punta di diamante di un programma strategico per una transizione da un’economia basata sul petrolio ad una basata sulla conoscenza fondamentale. Un gioiello architettonico (il progetto dello studio americano Hok è stato selezionato come Top Green Project nel 2010), concepito sul modello CalTech, totalmente misto e multiculturale, con particolare attenzione alle donne, per promuovere la scienza, la tecnologia, la ricerca, che ha un endowment di 20 miliardi di dollari per 1.000 studenti (quello della Harvard University è di 39 miliardi per 36.000 studenti quello del MIT 16miliardi per 11.500 studenti) e ha attratto un corpo docente di eccellenze provenienti da circa 100 Paesi (gli italiani sono circa 150). Basti pensare che il passato presidente è stato Jean Luc Chameau, direttore proprio della Caltech, a cui è succeduto Tony Chan, presidente della Hong Kong University. Dotata di computer superveloci, apparecchiature avveniristiche, strumenti di indagine sofisticati per combustione, material science, energie rinnovabili, nanotecnologie, imaging, climate change, protezione ambientale, bioingegneria agroalimentare e medicina molecolare, l’università vuole essere il MIT del Medio Oriente. E, paradossalmente, questo centro che vuole creare innovazione sostenibile è stato finanziato dal ministero del petrolio, attraverso la compagnia petrolifera ARAMCO. Importante notare che, in controtendenza con la maggior parte del mercato mondiale, gli studenti (Master e PhD), selezionati su base esclusivamente competitiva, non pagano una retta ma ricevono essi stessi una sostanziosa borsa di studio.
Ora il nipote di Re Abdullah, il controverso principe ereditario Mohammad bin Salman, ha lanciato NEOM, una smart city nella provincia di Tabuk al confine con l’Egitto e la Giordania, in un sito di straordinaria bellezza naturale, tra mare e deserti rocciosi. Il progetto dovrebbe essere completato nel 2025 con un investimento iniziale di 500 miliardi di dollari, sempre attraverso le casse di ARAMCO. CEO della Joint Stock Company è il potentissimo Nadhmi Al-Nasr, curriculum internazionale, vice-presidente dal 2006 dell’ARAMCO, che ha sovrinteso al del progetto Kaust. Direttore dello sviluppo Klaus Kleinfeld, ex CEO di Alcoa e ex-presidente e CEO della Siemens. Interessante il riferimento alla cultura classica occidentale: NEOM deriva da una crasi tra il greco neos, nuovo e la parola araba Mostaqbal, futuro. Energia solare ed eolica, desalinizzazione, avveniristici sistemi di sicurezza (“crimine zero: tutti i cittadini potranno essere controllati da computer” ha dichiarato il principe ereditario suscitando non poca apprensione, soprattutto dopo l’uccisione di Kashoggi, tanto che illustri consulenti come l’architetto Norman Foster hanno preso le distanze dal progetto), mobilità sostenibile, utilizzo di robot per l’assistenza, la consegna a domicilio, la logistica, auto volanti, sistemi per incentivare la pioggia attraverso la dispersione nell’aria di sostanze chimiche e materiali igroscopici per condensare le nuvole (cloud seeding, una tecnologia avveniristica, ma non si sa se realizzabile e con quali conseguenze sull’ambiente), riciclaggio dell’acqua, che dovrebbe consentire di creare una città giardino nel deserto, con orti e produzione agricola – si parla di una collaborazione tecnologica sottobanco con Israele, ma le autorità dei due Paesi non lo confermano.
La città ospiterà fabbriche di automobili elettriche, ospedali, high tech companies, ristoranti stellati e centri turistici illuminati da una luna artificiale gigantesca e controllati attraverso sistemi di riconoscimento facciale, droni, telecamere ovunque –fa un po’ paura, ma così funziona anche Singapore… Ci saranno scuole internazionali per i figli dei residenti, e docenti-ologrammi, un centro di ricerca per la genetica (il principe ereditario ha parlato di un progetto di medicina del futuro per malattie genetiche e benessere al fine di attrarre clienti e company del settore- ma la manipolazione genetica è un tema che presenta risvolti preoccupanti).
La città, che occuperà 25mila chilometri quadrati, diventerà una sorta di Stato a sé, grazie anche all’acquisto di terreni dall’Egitto e dalla Giordania, con una giurisdizione extra-territoriale, in modo da consentire il consumo di alcool e abolire i divieti che regolano la vita delle donne saudite. I giudici risponderanno direttamente al Re, ma in teoria la Sharia continuerà a rimanere in vigore. “Costruire una città da zero –ha dichiarato il Principe ereditario- consentirà di avere leggi autonome e i migliori servizi senza limitazioni sociali”.
L’idea di base è quella di modernizzare il Paese senza creare lacerazioni con la potente élite religiosa, che regge la monarchia, facendo crescere il Paese bottom-up per creare cultura, responsabilità e benessere in armonia con i valori della propria tradizione culturale, e prevenendo il rischio di una devastante primavera araba.
Molte le perplessità, non solo dall’estero: per costruire la città sarà necessario un vasto programma di rilocalizzazione degli abitanti, e questo ha già suscitato parecchie polemiche interne.
Ma è comunque interessante rilevare il desiderio di evoluzione di una società che nell’opinione pubblica è statica e impermeabile alla modernità, e che invece potrebbe riservare molte sorprese (non tutti sanno che in Arabia Saudita sono stati riaperti i cinema, è stato inaugurato un Salone dell’auto dedicato alle donne, che potranno aprire, almeno nelle dichiarazioni di intenti, attività lavorative e imprenditoriali senza il consenso maschile). Intanto, per lanciare l’immagine di un Paese moderno, dove ci si può divertire senza complessi rispetto all’Occidente, in Arabia Saudita sono stati lanciati due festival internazionali: a Tantora, a 300 km a nord di Medina, in una oasi verde circondata da montagne sabbiose, con gioielli naturali e architettonici – tra cui una biblioteca di iscrizioni rupestri – è stato inaugurato un avveniristico teatro con le pareti di specchio che riflettono il paesaggio e il cielo. Qui dal 20 dicembre al 19 febbraio scorsi, ha avuto luogo il Festival “Winter at Tantora” con eventi culturali e folkloristici, show di cavalli Fursan e concerti con star internazionali del calibro di Bocelli e il pianista Lang Lang.
A Jeddah si è appena concluso il Jeddah Waterfront Festival, con mostre d’arte, spettacoli, attività acquatiche, parate, musica e spettacoli. Questi programmi fanno parte di un progetto di apertura del Paese al turismo internazionale, considerato una importante fonte di reddito e di impiego. Da un anno l’Arabia Saudita ha introdotto la possibilità di ottenere visti turistici (anche per donne single!) con uno stretto controllo per evitare uno shock culturale al Paese ma con l’intento di lanciare l’Arabia Saudita tra le mete ambite di un turismo che dovrebbe portare nel Paese 30 milioni di visitatori entro il 2030, per i quali si stanno approntando infrastrutture adeguate–alberghi, ristoranti, trasporti.
Viviana Kasam
(26 agosto 2019)