Modi di essere leader
Sono ormai da tempo il pane quotidiano della politica (italiana e non solo), ma certo in questi giorni in cui si consuma una delle più difficili crisi istituzionali della storia repubblicana i sotterfugi e le contrapposizioni violente tra leader si succedono vorticosamente, rendendo indecifrabile una situazione già assai ingarbugliata e fornendo uno spettacolo pubblico ben poco edificante. Le macchinazioni reciproche, gli scambi di randellate verbali avvengono non solo tra capi di partiti avversi, ma anche – e sono le più velenose – tra compagni di partito appartenenti a fazioni diverse o, addirittura, tra ex colleghi di governo e alleati politici. Se è in gioco un disegno di potere non si risparmiano colpi e non si bada a codici di comportamento, specialmente da quando i social la fanno da padrone. Non è peraltro un fatto nuovo, né legato esclusivamente alle moderne tecnologie: Machiavelli fonda anche sulla capacità di manovra e di inganno la virtù del suo principe.
Un panorama politico così acceso alle spalle della ritualità istituzionale che detta le modalità e i tempi della crisi ci porta comunque a interrogarci sul senso e sul ruolo della figura del leader nell’attuale situazione politica. Cosa si aspetta dal leader la gente (cioè la massa, il soggetto politico a cui più che mai oggi guardano i programmi dei partiti e dei movimenti)? Qual è in particolare la sua funzione entro un sistema populistico come quello in cui siamo ormai inseriti? Quale dovrebbe auspicabilmente essere il suo ruolo in una struttura politica liberal-democratica? Quali i suoi rapporti con i cittadini, con i partiti, con le istituzioni? Domande troppo complesse per dare in poche righe una risposta esauriente, che richiederebbe fra l’altro un’approfondita riflessione sui testi di Max Weber, di Karl Schmidt e di Jürgen Habermas.
Però un indirizzo di risposta è possibile indicarlo, anche solo per tentare di comprendere meglio il meccanismo politico nel quale siamo inseriti. Oggi più che mai, in un sistema in cui cresce l’appello al “popolo” – cioè a un aggregato complessivo un po’ vago ma decisivo nel dibattito politico contemporaneo – , il leader rappresenta il punto di riferimento carismatico, la guida capace di interpretare la situazione, di indicare la via, di fissare e diffondere il programma per l’affermazione del corpo solidale. Il suo ruolo e il suo obiettivo sono dunque chiari: costruire e interpretare il movimento/partito, dare credibilità alla sua lotta al sistema, ai suoi obiettivi di potere, alla realizzazione di una società nuova. Insomma, un profeta rivoluzionario che proclama quello che il sedicente popolo dice e vorrebbe sentirsi dire, ammesso e non concesso che quella populista possa essere definita una rivoluzione: pensiamo a Grillo, in tono un po’ minore a Di Maio, oppure cambiando versante a Salvini; altrimenti un manovratore che progetta e agisce nell’ombra, come Casaleggio padre e figlio. Ciò in una società un po’ malata come la nostra. In un aggregato sociale ove la liberal-democrazia abbia mantenuto il suo regolare funzionamento, invece, il leader è una naturale e costitutiva esigenza dell’organizzazione politica razionale: individuo dotato di cultura politico-giuridico-amministrativa nonché di forte senso dello Stato e di capacità di convinzione, uomo di azione e di pensiero (come lo coglieva Mazzini), professionista della politica (come lo definiva Weber), pronto comunque a mettersi al servizio della cosa pubblica e delle sue istituzioni; interprete autonomo ma aperto e non settario di una determinata idea di società, guida di un partito che resta comunque sede di un confronto pluralistico.
Se questa è in estrema sintesi la differenza tra i due modi di essere del leader, possiamo forse concludere che il problema non risiede tanto nella figura del leader in sé – nel “leaderismo” – quanto nel modo di interpretare quel ruolo, vale a dire nei valori e nei comportamenti che il leader porta con sé. Consono a un sistema libero è evidentemente un leader autorevole ma non autoritario. Non me la sentirei di affermare altrettanto circa gli attuali sistemi populisti e sovranisti.
Sarà forse un modello desueto e superato, ma il prototipo di leader saggio e davvero utile al suo popolo che più mi torna alla mente è la figura di Moshè Rabbenu, individuo centrale eppure umile, così schivo del potere e saggio da accettare il consiglio del suocero Itrò, condividendo con gli anziani l’impegno gravoso dell’amministrazione della giustizia.
David Sorani