Il fuoco e le distinzioni
Quest’anno in Amazzonia e in Siberia, l’anno scorso in California. E prima in Grecia, in Spagna, in Sardegna. Domani chissà. È la mappa degli incendi che ogni estate devastano in tutto il mondo milioni di ettari di bosco e foresta. Che non si tratti di nulla di particolarmente nuovo non dovrebbe confortare ma anzi inquietare: sia perché i danni attuali si cumulano a quelli dei decenni passati, sia perché le dimensioni del fenomeno impongono, o almeno dovrebbero imporre, di evidenziare in alto su ogni agenda politica le questioni ambientali e climatiche. Possibilmente senza allarmismi e apocalittismi, che complicano i problemi anziché risolverli, ma con urgenza, in modo da mettere finalmente a tema il senso della cura per il pianeta e le sue risorse.
Assistere a un incendio è un’esperienza terribile a cui, come a non pochi eventi terribili, può essere attribuito anche valore estetico. Anni fa, in Liguria, mi è capitato di assistere abbastanza da vicino a un incendio e ancora conservo la sensazione del nulla che avanza e dilaga come nella Storia infinita di Michael Ende, buco nero che cresce divorando la realtà. Il fuoco incanta come la voce delle sirene e paralizza, eppure gli uomini nel corso dei millenni hanno saputo escogitare strumenti adeguati a controllarlo. Dal fusto secco di ferula in cui Prometeo, nel mito greco, cela e sottrae il fuoco agli dei per portarlo agli uomini fino ai fiammiferi e ai rubinetti del gas presenti oggi nelle nostre cucine con cui gestiamo agevolmente la quantità di fuoco che desideriamo.
Secondo Elias Canetti il fuoco è un simbolo per eccellenza della massa. “Il fuoco dilaga: è contagioso e insaziabile – scrive Canetti in Massa e potere – La veemenza con cui afferra intere foreste e steppe, intere città, è una delle sue caratteristiche più impressionanti. Prima dell’incendio, ogni albero stava presso gli altri alberi, ogni casa presso le altre case, ben separati, singoli”. Ma il fuoco distrugge la separatezza e impone l’indistinzione delle fiamme, prima, e della cenere poi. “Gli oggetti diversi e isolati – continua Canetti – vengono tutti assorbiti nelle medesime fiamme, e divengono così uguali da sparire interamente: case, creature, tutto è afferrato dal fuoco. Esso è contagioso”. Il fuoco, dunque, è l’elemento che annulla la distinzione e la distanza, e non a caso è simbolo ricorrente nelle antiche figurazioni della fine del mondo. In qualche modo si pone agli antipodi dell’ebraismo, che insegna invece a distinguere costantemente, nelle grandi e nelle piccole cose.
Giorgio Berruto