Grazia Di Veroli (1961-2019)
Grazia se ne è andata e la cosa peggiore per me, che la conosco da tempo quasi immemore, avendo poi avuto modo di frequentarla con continuità, è che sapevo che si sarebbe congedata da noi a breve. In cuore mio, tuttavia, mi dicevo che la vita le avrebbe ancora concesso del tempo, almeno quanto necessario per realizzare ancora una delle cose tra le tante che amava fare. Non è stato così, e ciò mi pare un’ingiustizia non meno grave del fatto stesso che sia morta giovane, anzitempo non solo rispetto alla sua stessa esistenza ma anche alle tante cose che aveva comunque in animo di fare. A Roma tutti l’hanno conosciuta, in Comunità, in Unione così come nell’Associazione nazionale degli ex deportati, di cui è stata una colonna portante. La storia della sua famiglia è al medesimo esempio e monito. In altre parti d’Italia, con il lavoro che conduceva sistematicamente sulla memoria della deportazione ma anche sui valori democratici e antifascisti, soprattutto tra gli studenti, molti la ricorderanno. Da adesso e nei tempi a venire. Ci siamo trovati tante volte a parlare, in conciliaboli amicali, del senso del comune impegno. Democratico e antifascista, come già detto, poiché le due cose, che si tengono assieme, erano parte integrante dell’identità di Grazia e si ricollegavano al suo lavoro dedicato alla testimonianza, al ruolo che le attribuiva nella formazione di una coscienza civile. Ma anche di molte altre questioni abbiamo fatto oggetto di confronto, riflettendo sul senso di ruoli, identità, esperienze senza il bisogno di ricorrere a dei paraocchi precostituiti. Quindi, in questi come in tanti casi, con disincanto ma senza alcun cinismo. Quando viene a mancare chi ci è caro, è come se una parte di noi stessi scomparisse. Quella che ha trovato forma e sostanza nello scambio con l’altro, ora assente. Rimane il fatto che l’impegno di Grazia, come di tanti altri, non si rivelerà mai vano. Ne avevamo discusso, anche dinanzi a quella stanchezza che, a volte, complice la cacofonia dei tempi correnti, rischia di sopraffare i più forti. Poiché si è ciò che si fa della propria esistenza; si diventa ciò che si afferma e si difende dinanzi agli altri; si manca, a chi rimane, per le proprie parole, che non possono essere più pronunciate se non per interposta figura, cioè da chi è ancora tra i vivi. Affermato ciò, rimane il fatto che le parole mi mancano. Per l’appunto. Buon viaggio, Graziotta.
Claudio Vercelli
(1 settembre 2019)