Verdi, gli ebrei e quel coro universale

Dalla Liguria all’Emilia-Romagna. Da “Storytelling. Le storie siamo noi”, il tema di un’edizione segnata dalla volontà di ripartenza di Genova dopo la tragedia del Ponte Morandi, a “I sogni, una scala verso il cielo”, l’argomento che è il filo conduttore della prossima Giornata Europea della Cultura Ebraica in programma domenica 15 settembre. Parma, cui è dedicato uno speciale dossier sul numero di agosto di Pagine Ebraiche, di cui vi proponiamo un testo, la città capofila.

Va, pensiero, sull’ali dorate… Così inizia uno dei cori più celebri al mondo, conosciuto e cantato anche da chi non si interessa all’opera lirica. Più volte proposto (senza successo) quale inno nazionale in sostituzione di quello di Mameli, resta vivo nel patrimonio musicale degli italiani per il legame affettivo e il valore simbolico, ma quanto lo si conosca davvero nessun lo sa. In effetti quando nel 2011, per il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, all’Opera di Roma Riccardo Muti invitò il pubblico a cantare Va, pensiero, successe esattamente che “gran parte del pubblico cantò la prima quartina, bofonchiò qualche parola della seconda, esplose sulla «patria perduta» e si spense su quanto seguiva”, come avrebbe poi riferito Alessandro Beltrami su Avvenire.
Va, pensiero è contenuto nel terzo atto dell’opera Nabucco di Giuseppe Verdi, rappresentata per la prima volta il 9 marzo 1842 al Teatro alla Scala di Milano e considerata il primo vero trionfo del compositore, un trionfo che gli permetterà di introdursi nei salotti dell’aristocrazia milanese e di allacciare rapporti con esponenti dell’ambiente politico e culturale.
Se è vero che abbondano le pubblicazioni sullo studio e la comprensione delle opere liriche in generale, possiamo dire che su questa in particolare si è acceso l’interesse degli studiosi di svariati settori (non necessariamente musicali), perché svariati sono i livelli di lettura e di interpretazione; oltre all’analisi musicale della composizione in sé e della stessa in relazione all’epoca e ad altre composizioni, si è data importanza all’analisi del testo, opera del poeta Temistocle Solera, allo stile, alla scelta dei termini e alla metrica e in particolare i linguisti, gli studiosi di letteratura, di storia ebraica, i teologi e i biblisti hanno indagato il rapporto tra il testo del coro e quello del Salmo 137 e dunque, più in generale, il legame tra la storia ebraica dell’esilio in Babilonia e la condizione politica e sociale dei contemporanei di Verdi.
L’analisi di Va pensiero, e più in generale dell’opera Nabucco, coinvolge necessariamente anche l’analisi del rapporto tra la musica e l’idea di patria e/o di nazione, che si sviluppa nel corso dell’Ottocento, con il sorgere dei movimenti nazionalistici e il diffondersi dei sentimenti patriottici, quando la primavera dei popoli veniva raccontata anche attraverso la musica, che si faceva portavoce dei desideri della gente e di quell’anelito alla libertà e alla costruzione di una patria a partire dalla consapevolezza del passato.
Tra i possibili livelli di lettura credo ve ne sia uno che è sì legato alle analisi degli addetti ai lavori, ma è per certi versi autonomo e più “popolare” ed è il riconoscimento del senso universale che quel coro esprime, il suo significato a prescindere dal rapporto specifico con il Risorgimento italiano. E credo che quel senso universale, che trascende epoche e luoghi per assurgere a paradigma di una condizione umana, sia eredità diretta del testo biblico, per cui le cetre appese ai salici assumono un significato pregnante non solo per gli ebrei in esilio, ma per chiunque faccia proprie quelle parole attraverso il canto o la poesia. Le fronde dei salici sono un simbolo per i protagonisti dei moti del 1848, ma anche per chi leggeva e legge i versi di Quasimodo che nel 1945 riflette su quale poesia possa ancora esistere dopo la guerra, o ancora per i giamaicani rastafariani che negli anni ’70 cantavano insieme al gruppo musicale The Melodians le parole del testo biblico in versione reggae per protestare contro la loro Babilonia e accompagnare la lotta per la libertà.
“Giuseppe Verdi ha compreso i due bisogni più importanti dello spirito umano: avere una casa, e in quella casa sentirsi liberi”, ha commentato Daniel Oren che nel 2010 ha diretto Nabucco a Masada, la roccaforte simbolo della resistenza ebraica, uno spazio di esperienza storica e di profonde emozioni in cui il pubblico ha ritrovato davvero il senso universale del coro.
E mentre scrivo e mi passano davanti agli occhi le immagini della storia e delle geografie in cui i versetti del salmo hanno saputo esprimere il senso vero di diverse esistenze, mi tornano alla mente le parole di Marcel Proust: “Quel canto, diverso da quello degli altri, simile a tutti i suoi, dove l’aveva imparato, dove l’aveva sentito Vinteuil? […] La patria perduta i musicisti non se la ricordano, ma ciascuno di essi rimane sempre inconsciamente accordato in un certo unisono con lei; delira di gioia quando canta secondo la sua patria”. 
Perché la musica racconta la storia, i desideri di un popolo e l’amore per la patria e la terra, ma esprime anche il mondo interiore di ogni artista, che per Proust è una patria perduta (e forse “sì bella”), che riaffiora qua e là in forma di meravigliosi frammenti.

Maria Teresa Milano 

(3 settembre 2019)