Periscopio – La dignità umana
e la giusta pena
Notevole clamore ha sollevato, com’è noto, la rocambolesca evasione dal carcere di Poggioreale, lo scorso 25 agosto, del detenuto polacco Robert Lisowski, accusato dell’efferato omicidio di un cittadino ucraino. Dopo avere assistito alla messa, il polacco si è allontanato dai suoi compagni, è salito attraverso delle scale sul tetto delle chiesa, e si è poi lanciato giù dall’edificio, per poi raggiungere, eludendo la sorveglianza, il muro di recinzione, dal quale si è calato all’esterno con la classica corda fatta di lenzuola intrecciate. Una volta evaso, si è cambiato d’abito, ma, avendo riportato, nel salto, una lesione al piede, non è riuscito a fare molta strada, per cui, solo 30 ore dopo, è stato per fortuna ritrovato dalle forze dell’ordine, a poche centinaia di metri dal luogo dell’evasione.
Ho scritto “per fortuna”, come credo dovrebbe pensare qualsiasi persona normale. Lisowski deve essere giudicato per un reato gravissimo, e ora dovrà anche rispondere dell’evasione, che rappresenta un ulteriore reato. Ha diritto a un giusto processo, e a essere trattato in carcere – prima e dopo l’eventuale condanna – con il massimo di dignità e umanità possibile, ma non ha il diritto di evadere, e sapere che un presunto assassino, che non ha niente da perdere, gira in libertà, mettendo verosimilmente a repentaglio la sicurezza di altre persone, è cosa che dovrebbe allarmare chiunque.
Ma non tutti la pensano come me, non tutti condividono il mio “per fortuna”. Forse mi riferisco ai suoi familiari e amici, che avrebbero preferito che non fosse riacciuffato? O a qualche suo complice di banda armata, speranzoso di riprendere a lavorare con lui? No, mi riferisco alla singolare reazione di padre Franco Esposito, cappellano di Poggioreale, che, sulla sua pagina Facebook, ha commentato l’evasione con questo post: “È scappato un detenuto, embé? Perché stupirsi per una evasione dal carcere, è la cosa più naturale che possa accadere. Quello che è innaturale è tenere rinchiuse delle persone in una situazione disumana e degradante. Carceri come Poggioreale non hanno i requisiti per essere rieducativi”. E, a una domanda di un intervistatore, riguardo al pericolo pubblico generato dall’evasione di un pericoloso detenuto accusato di omicidio, il religioso ha così risposto (la Repubblica, 27 agosto): “Allarme sociale per questo criminale? Quel che mi preoccupa è che ora ci sia una nuova stretta ai diritti nelle carceri. Il pericolo non è uno in più a piede libero, ma l’inganno del carcere che crea criminalità”.
Pur comprendendo lo spirito umanitario che ha mosso padre Esposito, trovo le sue parole francamente molto discutibili. Intendiamoci, il problema del sovraffollamento carcerario, a Poggioreale e altrove, esiste, e, sul piano della tutela della salute psico-fisica e della dignità dei detenuti c’è ancora, nel nostro Paese, moltissimo da fare. Anche se non va sempre tutto male: alcuni progressi sono stati realizzati, grazie all’impegno generoso di tanti operatori del settore, e anche di molti detenuti, che, all’interno delle mura, si impegnano a dare un contributo fattivo, senza cercare di evadere. In molte prigioni si lavora, si studia, si recita, si socializza. Come recente segnale positivo, mi permetto di segnalare la nomina a garante dei diritti dei detenuti, in Abruzzo, di un criminologo di non comuni doti umane e professionali, Gianmarco Cifaldi, che certamente farà molto per migliorare la situazione in quella regione. E Cifaldi non è l’unico. Sono state introdotte molte misure alternative al carcere, e molti reati sono stati depenalizzati. Per le piccole pene, com’è noto, in prigione non va ormai nessuno. Tutto bene, dunque? Assolutamente no. Tutto male? Non credo, non direi, ma, anche ad accettare la pessimistica visione di padre Esposito, vogliamo forse abolire le prigioni, in attesa che, nella prossima era messianica, siano tutte diventate dei luoghi pienamente, come si dice, “a misura d’uomo”? O vogliano abbattere e svuotare Poggioreale, senza avere prima provveduto a edificare un’altra, migliore struttura, ma mandando i reclusi a casa?
Che il carcere, molto spesso, crei criminalità, è purtroppo vero, non lo ha certo scoperto padre Esposito. Gli antichi, saggiamente, non lo conoscevano, e affrontavano il problema della delinquenza con metodi più rapidi e spicci, e meno complicati e costosi. Forse il cappellano vorrebbe tornare a quei tempi? A scanso di equivoci, ripeto quanto ho scritto prima: Lisowski è un essere umano, e andrà sempre rispettato, come tutti gli altri detenuti, nella sua dignità, sacra e inviolabile. E non rivolgerei mai, neanche al più feroce dei criminali, l’augurio – frequente nell’eloquio di un nostro importante ex Ministro – di “marcire in galera”. Ma la mia vicinanza umana va in primo luogo ai familiari dell’ucraino ucciso, e poi a tutti quei detenuti che, pur tra mille difficoltà, cercano effettivamente di percorrere un cammino di riabilitazione, e che in chiesa vanno per pregare, non per evadere. E a cui auguro sinceramente di riacquistare presto la libertà – pienamente redenti e recuperati, per non tornare mai più a delinquere -, ma non seguendo il cattivo esempio di Lisowski (cosa che, indipendentemente dalle intenzioni, le incaute parole di padre Esposito, proprio per l’autorevolezza della fonte, potrebbero indurre a fare).
Francesco Lucrezi
(4 settembre 2019)